
Una dieta vegana (a ridotto/nullo contenuto di carne) protratta per 4 mesi e non per tutta la vita, sembra contribuire al controllo della glicemia e alla prevenzione dell’insorgenza di sindrome metabolica e diabete di tipo 2 grazie ad una modifica del microbiota intestinale.
A sostenerlo sono i risultati di un’indagine presentati a Barcellona al congresso annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) che si sta svolgendo in questi giorni (16-20 settembre).
Il microbiota intestinale consiste in una vasta comunità di batteri che colonizza il tratto intestinale e sono simbionti e commensali, che significa che per sopravvivere devono necessariamente vivere in stretto rapporto con altri organismi viventi e traggono vantaggio dalla simbiosi. Questi microorganismi esercitano effetti rilevanti su una vasta gamma di attività fisiologiche dell’organismo ospite (ad esempio funzione immunitaria ed elaborazione di nutrienti).
La ricerca è stata condotta su 147 partecipanti, prevalentemente donne (86% donne e 14% uomini) di età compresa tra i 45 e i 65 anni, in sovrappeso ma senza una storia di diabete che sono stati divisi in due gruppi. Ad inizio sperimentazione ad entrambi i gruppi è stata fatta l’analisi del microbiota intestinale, della composizione corporea e della sensibilità insulinica. In seguito al primo gruppo è stata imposta una dieta vegana e a basso contenuto di grassi, mentre il secondo gruppo ha continuato a seguire le proprie abitudini alimentari senza variazioni.
Dopo circa 4 mesi, i partecipanti al primo gruppo mostravano:
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Una significativa perdita di massa grassa con conseguente perdita di peso (in media – 5,8 kg);
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Un aumento della sensibilità insulinica, che significa che c’è minore resistenza ed è quindi sufficiente un minor rilascio di insulina per permette il mantenimento di normali livelli di glucosio circolante;
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Una significativa variazione della composizione del microbiota intestinale: aumento del 4,8% di una specie batterica legata alla salute intestinale (Faecalibacterium prausnitzii) e del 19,5% di Bacteroides fragilis, un’altra specie batterica.
L’aumento di queste specie batteriche sembra essere collegata sia alla perdita di peso che alla maggiore sensibilità all’insulina.
La ricerca ha portato quindi alla conclusione che sedici settimane di regime alimentare vegano siano sufficienti per indurre modifiche nel microbiota che sono correlate positivamente a cambiamenti di peso, nella composizione corporea e nella sensibilità insulinica.
Resta ancora da chiarire se gli effetti benefici siano imputabili al regime alimentare vegano oppure alla sola riduzione dell’introito calorico, infatti le due specie batteriche che aumentano in questo studio sono quelle che si nutrono prevalentemente di fibre e che quindi beneficiano di un’alimentazione completamente vegetale.
La domanda da porsi è: come reagirebbero le stesse specie batteriche se invece di una dieta strettamente vegana si seguisse semplicemente un regime alimentare bilanciato che contenga le famigerate 5 porzioni di frutta e verdura al giorno?
Saranno quindi necessari ulteriori approfondimenti e risultati più certi saranno disponibili nel 2020 in seguito alla conclusione di una seconda sperimentazione condotta dallo stesso gruppo di ricerca guidato da Hana Kahleova del Physicians Commitee for Responsible Medicine (PCRM) di Washington (USA).
Intanto i ricercatori ci tengono a sottolineare che la fibra è il componente più importante presente negli alimenti vegetali in grado di promuovere la crescita di un microbiota in salute e quindi “mangiare più fibre è la raccomandazione dietetica numero uno per un microbioma intestinale sano”.
Fonti e approfondimenti
https://medicalxpress.com/news/2019-09-short-term-vegan-diet-boost-gut.html
Liguri; Nutrizione e dietologia – aspetti clinici dell’alimentazione; Zanichelli; 2018