L’importanza degli spuntini nell’alimentazione quotidiana, una revisione italiana

Un team di esperti italiani, con il coordinamento della Nutrition Foundation of Italy, ha recentemente pubblicato, sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Food Science and Nutrition, una revisione dal titolo “Snacking in nutrition and health”, ottenuta tramite l’analisi della letteratura scientifica pubblicata in tutto il mondo.

Può sembrare un ossimoro dato che nel nostro paese lo “spizzicare” viene visto come l’abitudine scorretta del mangiare fuori pasto, in maniera non programmata, non controllata e senza avere appetito, in quest’ottica risulta difficile associarlo ad uno stile di vita sano ed una dieta bilanciata.

In realtà il termine anglosassone “snacking” viene impiegato per indicare gli spuntini di metà mattina e metà pomeriggio che ben si differenziano dal mangiare casualmente fuori pasto in quanto hanno un ruolo ed una collocazione temporale ben precisi all’interno della dieta e devono rispondere ad esigenze nutrizionali specifiche.

Esiste una moltitudine di evidenze scientifiche a sostegno del fatto che frazionare la distribuzione giornaliera di energia e l’apporto di nutrienti in 4-5 occasioni, rispetto a concentrarli nei soli 3 pasti principali, abbia un impatto positivo sulla qualità complessiva della dieta e sul metabolismo:

  • Il consumo di uno spuntino a metà mattina e/o a metà pomeriggio evita il sovraccarico digestivo e metabolico,

  • Migliora il controllo dell’assunzione calorica nei pasti principali contribuendo al controllo del peso corporeo, ecco perché questi due pasti prendono generalmente il nome di “spezza-fame”. Il consumo di un piccolo snack fra un pasto e l’altro permette di arrivare al pasto principale meno affamati e, di conseguenza, favorisce una scelta più ponderata della qualità e della quantità del cibo che si mette nel piatto ai pasti principali,

  • Frazionare i nutrienti in diverse occasioni aiuta a ridurre il carico glicemico complessivo dei pasti e permette di mantenere costante la concentrazione di glucosio circolante, evitando l’insorgenza di cali e picchi glicemici e mantenendo bassi i livelli di insulina,

  • Per chi svolge un’attività fisica intensa lo spezza-fame aiuta a ripristinare le riserve di glicogeno e mantenere integro il tessuto muscolare,

  • La lipolisi (ovvero il consumo di trigliceridi) viene maggiormente attivata.

Ovviamente il fuori pasto non deve prescindere da una corretta alimentazione generale e non deve andare ad aggiungere ulteriori calorie all’introito giornaliero. Gli spuntini devono entrare a fare parte in maniera bilanciata della dieta quotidiana: sostanzialmente la qualità e la quantità degli alimenti consumati durante colazione, pranzo e cena dovrebbero guidare la scelta della merenda che meglio si adatti alle abitudini e alle esigenze.

In linea generale lo spuntino di metà mattina dovrebbe rappresentare circa il 5-8% dell’introito calorico giornaliero mentre quello di metà pomeriggio, dato che il tempo che intercorre fra il pranzo e la cena è generalmente superiore rispetto a quello che passa fra la colazione e il pranzo, dovrebbe essere un po’ più articolato e rappresentare circa il 7-10% delle calorie totali giornaliere.

Gli spuntini acquisiscono un ruolo differente durante le diverse fasi della vita:

  • In età pediatrica l’inserimento di due spuntini durante la giornata serve a migliorare l’indice qualitativo dell’alimentazione e insegna ai bambini fin dalla più giovane età ad acquisire corrette abitudini alimentari,

  • In età adulta invece lo spuntino aiuta la regolazione del senso di fame e di conseguenza favorisce il bilanciamento della secrezione ormonale oltre che il controllo della glicemia, del peso corporeo e del profilo lipidico,

  • Per gli anziani gli spuntini servono come aiuto per il completamento della dieta. Lo stato di malnutrizione nelle persone anziane è piuttosto comune ed è in gran parte imputabile alle scelte alimentari che, con l’avanzare dell’età, diventano sempre più limitate e, allo stesso tempo, complesse influenzate sia da fattori biologici e ambientali che sociali e psicologici.

Ma che caratteristiche deve avere uno spezza-fame per avere un impatto positivo sull’alimentazione?

Ovviamente non tutti gli snack sono adatti ad un regime alimentare sano, la maggior parte degli snack confezionati che si trovano in commercio ad esempio sono ricchi di additivi, zuccheri, sale e grassi saturi o idrogenati al solo scopo di risultare più appetibili per questioni di gusto e di consistenza. Se è vero che lo spuntino può svolgere anche il ruolo di “comfort food” (ovvero un cibo che appaga sia dal un punto di vista del gusto che della psiche) è anche vero che deve sempre essere rispettato il bilancio quotidiano di energia e nutrienti, questo significa che gli spuntini devono essere studiati e calibrati tenendo in considerazione età, sesso, stile di vita e livello di attività fisica del singolo soggetto.

Di seguito alcuni alimenti che potrebbero entrare a far parte di uno spuntino bilanciato, che favorisce il senso di sazietà e ci gratifica troviamo:

  • Frutta secca e disidratata, ad esempio prugne disidratate, che aiutano a mantenere lo stato di sazietà e hanno un basso indice glicemico;

  • Latticini, come lo yogurt al naturale o un formaggio magro, o comunque un cibo proteico;

  • Frutta e verdura, fonte di vitamine, minerali e fibre;

  • Prodotti da forno privi di grassi saturi o idrogenati, i prodotti cerealicoli andrebbero preferiti con un contenuto pari al 50% di cereali integrali.

Come bevanda di accompagnamento è meglio preferire sempre l’acqua: il mantenimento dello stato di idratazione durante la giornata e fondamentale per permettere a tutto l’organismo di funzionare correttamente.

In conclusione: è riconosciuto a livello internazionale che suddividere le calorie e i nutrienti giornalieri in 4-5 momenti, piuttosto che concentrare tutto nei 3 pasti principali, sia vantaggioso dal punto di vista metabolico. Fondamentale per evitare di incorrere in eccessi è rispettare sempre la collocazione temporale degli spuntini, limitandosi a metà mattina e metà pomeriggio, controllare il contenuto energetico e la composizione degli alimenti che si sceglie di consumare e adattarli alle proprie esigenze.

Fonti e approfondimenti:

Franca Marangoni, Daniela Martini, Silvia Scaglioni, Michele Sculati, Lorenzo Maria Donini, Francesco Leonardi, Carlo Agostoni, Gianluca Castelnuovo, Nicola Ferrara, Andrea Ghiselli, Michelangelo Giampietro, Claudio Maffeis, Marisa Porrini, Bianca Barbi & Andrea Poli (2019) Snacking in nutrition and health, International Journal of Food Sciences and Nutrition, DOI: 10.1080/09637486.2019.1595543

http://www.nutrition-foundation.it/apb-alimentazione–prevenzione-benessere-n-4—2019.aspx

E’ vero che alcuni tipi di zuccheri aggiunti sono più sani rispetto ad altri?

È ormai scientificamente dimostrato che un eccessivo consumo di zuccheri aggiunti sia dannoso per la salute.

A questo proposito però è importante fare una precisazione:

Con il termine “zuccheri semplici” convenzionalmente si indicano i carboidrati monosaccaridi, costituiti da una sola molecola, e disaccaridi, questi ultimi costituiti da due molecole di monosaccaridi:

  • Monosaccaridi: glucosio, fruttosio e galattosio;

  • Disaccaridi: saccarosio (glucosio + fruttosio), lattosio (glucosio + galattosio), maltosio (glucosio + glucosio).

Questi zuccheri semplici si trovano anche naturalmente negli alimenti, sono presenti ad esempio nella frutta (fruttosio), nei prodotti caseari (lattosio), ma anche nei cereali germinati (maltosio). Quelli che si trovano nei prodotti industriali sono i cosiddetti “zuccheri aggiunti” ovvero zuccheri semplici estratti, trattati e aggiunti agli alimenti durante il processo di lavorazione.

Quando si parla di “zucchero” al singolare tradizionalmente ci si riferisce al comune zucchero da tavola raffinato, ovvero il saccarosio purificato estratto dalla barbabietola da zucchero, che viene aggiunto nella ricettazione di un prodotto.

È importante fare questa precisazione perché, nonostante gli zuccheri naturalmente presenti e quelli aggiunti vengano metabolizzati dall’organismo attraverso le stesse vie, gli zuccheri semplici naturalmente presenti nel cibo non hanno particolari controindicazioni al consumo mentre quelli aggiunti risultano essere una fra le cause di aumento dell’insorgenza di obesità, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e anche alcune forme di tumore.  

Gli zuccheri naturalmente contenuti negli alimenti sono presenti in quantità moderate e con essi vengono assunte anche fibre e altri nutrienti che riducono l’impatto negativo sulla glicemia e sono utili a mantenere l’organismo in salute, al contrario gli zuccheri vengono aggiunti agli alimenti industriali prevalentemente per motivi di gusto e non hanno nessun impatto benefico sul metabolismo.

Le principali fonti di zuccheri aggiunti nell’alimentazione sono le bevande zuccherate e il cibo confezionato, in particolare quello ultra-processato.

Sugli scaffali sono presenti moltissimi prodotti contenenti zuccheri aggiunti provenienti da diverse fonti e indicati con molti nomi diversi più o meno noti.

Capita spesso di imbattersi nell’elenco ingredienti in diciture come sciroppo di glucosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), sciroppo di agave, zucchero di canna, malto d’orzo, destrosio, maltosio, fruttosio, ecc.

Posto che sono tutti dolcificanti aggiunti, che quindi rappresentano una fonte di calorie non necessaria per l’organismo: esistono davvero delle differenze fra i diversi tipi di zuccheri?

È prassi comune infatti pensare che alcuni zuccheri siano più salutari rispetto ad altri e questo guida le scelte di acquisto del consumatore verso un prodotto piuttosto che un altro, ma è davvero così?

Esistono zuccheri aggiunti più “sani” di altri?

Un articolo pubblicato sul sito della Harvard Medical School spiega che molti degli zuccheri che vengono aggiunti agli alimenti sono costituiti da fruttosio e glucosio (oppure solo da fruttosio o solo da glucosio), quello che li differenzia spesso è solo il rapporto fra i due monosaccaridi: lo zucchero da tavola (saccarosio) ad esempio è costituito per il 50% da glucosio e l’altro 50% da fruttosio, lo sciroppo d’agave è 90% fruttosio e 10% glucosio, ecc.

Fruttosio e glucosio seguono due vie metaboliche diverse: il glucosio viene assorbito dall’intestino e passa nel sangue aumentando la glicemia (livelli ematici di glucosio), il fruttosio viene invece metabolizzato nel fegato di conseguenza non porta ad un aumento di glucosio nel sangue, ma sul lungo termine e ad elevate concentrazioni (quindi non quelle presenti nella frutta) aumenta il rischio di insorgenza di patologie epatiche.

In conclusione, che uno zucchero aggiunto contenga più o meno fruttosio rispetto al glucosio ha in realtà un impatto minimo sulla salute.

Salvo condizioni particolari, come nel caso dei diabetici, un tipo di zucchero aggiunto non è migliore rispetto ad un altro e in ogni caso è sempre meglio limitare tutte le fonti di zucchero aggiunto e mantenersi sotto al livello di assunzione raccomandato che, secondo l’OMS, dovrebbe aggirarsi intorno al 5-10% delle calorie giornaliere.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.health.harvard.edu/blog/are-certain-types-of-sugars-healthier-than-others-2019052916699

http://www.ospedalebambinogesu.it/fruttosio-danni-fegato#.XPfEgogzaUk

L’importanza di preferire una corretta alimentazione prima di ricorrere ai farmaci

Mangiare bene e seguire una dieta corretta rappresentano dei punti cardine per vivere meglio e affrontare le giornate con la giusta carica ed energia.

Nutrirsi in maniera consapevole e giusta permette al nostro organismo di funzionare correttamente evitando carenze di macronutrienti e micronutrienti fondamentali.

Fa che il cibo sia la tua medicina e che la tua medicina sia il cibo” frase celebre di Ippocrate ma che in sé racchiude tutto il significato della scelta di un´alimentazione equilibrata.

Spesso si sottovaluta quanto il cibo possa influenzare il nostro corpo e l´insorgenza di malattie o fastidi legati all’alimentazione.

Si tende sempre più a porre attenzione all’aspetto quantitativo del cibo, le calorie, piuttosto che la qualità ed il corretto abbinamento tra gli alimenti.

Le proprietà dei nutrienti sono così tante da stimolare una vera e propria ricerca per scoprire quali sostanze siano in grado di avere proprietà farmaceutiche, la cosiddetta nutraceutica. Una cattiva dieta e una costante introduzione di alimenti spazzatura e poco nutrienti possono portare con il tempo a disturbi come diabete, ipercolesterolemia, ipertensione e conseguentemente l´uso di farmaci.

Non esiste una dieta uguale per tutti ma esistono linee guida generali che possono aiutare nella selezione degli alimenti e del giusto nutrimento.

È importante consumare verdura e frutta di stagione, fresca e possibilmente di produzione locale, cereali integrali, oli vegetali, legumi, semi oleosi e frutta secca.

In particolare riguardo all’introduzione di quest´ultimo alimento, la frutta secca, è stato condotto uno studio Usa pubblicato on line dal New England Journal of Medicine, a conclusione di un´osservazione di lungo periodo su due delle più grandi coorti americane, la Nurses´Health Study e la Health Professionals Follow-up Study, la quale ha dimostrato che basta un pugno (30 g circa) di frutta secca al giorno per stare meglio.

Quello che è apparso evidente ai ricercatori è che non vi era un tipo di frutta secca che mostrava maggiori vantaggi rispetto a un altro: l’effetto protettivo non è stato infatti determinabile e sia noci che mandorle, nocciole, anacardi, noci del Brasile, noci macadamia, noci pecan, pistacchi, arachidi e pinoli hanno mostrato tutti di avere più o meno le stesse proprietà benefiche.

L’aumento del consumo di frutta secca beneficia di un minor rischio di insorgenza di malattie come quelle cardiache, ma anche del diabete mellito di tipo 2, stress ossidativo, infiammazione, tumore al colon, calcoli biliari e diverticolosi.

Ma non è finita qui, il rapporto pubblicato sul New England Journal of Medicine, sottolinea un’altra buona notizia: chi ha consumato regolarmente frutta secca è risultato essere in forma con il peso rispetto a chi non ne ha mangiato.

I grassi contenuti nella frutta secca sono insaturi quindi non danneggiano la salute, sono ottimi contro il colesterolo cattivo (LDL) e contengono gli Omega 3.

In 100 g di noci ad esempio, troviamo 9,2 g di omega 3, ottimi per contribuire al mantenimento della normale funzione cardiaca e cerebrale, dei normali livelli di trigliceridi, alla normale capacità visiva e pressione del sangue.

La scelta di questi nutrienti quindi, si rivela una scelta vincente ed inoltre può essere anche un ottimo snack, energizzante e nutriente da proporre a soggetti di tutte le età, anche ai bambini in sostituzione a junk food ed in modo da improntare sin da piccoli una buona strada per la corretta scelta dei cibi.

 

Dott.ssa Nicolí Mariagrazia – Biologa Nutrizionista

BIBLIOGRAFIA

  • Estruch R, Ros E, Salas-Salvadó J et al. Primary prevention of cardiovascular disease with a mediterranean diet. New Engl J med 2013
  • Nutsforlife edizioni, Buccella Francesca
  • Repubblica.it

Studio IDEFICS: Troppi zuccheri semplici nella dieta dei bambini europei

In Europa soltanto la dieta di 20 bambini su 100 rispetta le linee guida dell’OMS soprattutto per quanto riguardo l’apporto di zuccheri semplici.

È quello che emerge dallo studio IDEFICS (Identification and prevention of Dietary and lifestyle induced health EFfects in Children and infantS), iniziato nel settembre del 2006 e concluso in febbraio 2012, il cui scopo era quello di raccogliere dati utili per effettuare una valutazione internazionale del problema dell’obesità infantile.

Nello studio sono stati presi in considerazione i consumi di zuccheri semplici presenti nella dieta di 16.228 bambini nella fascia d’età 2-9 anni in otto Paesi europei, Italia compresa. Il 20% dei bambini presi in considerazione sono risultati sovrappeso o obesi.

Con il termine “zuccheri semplici” o “zuccheri liberi” in etichetta vengono identificati sia il glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti in un alimento industriale al momento della produzione, durante la cottura o prima del consumo, sia gli zuccheri naturalmente presenti nell’alimento.

L’OMS suggerisce che gli zuccheri semplici non debbano costituire più del 10% dell’apporto calorico giornaliero.

Come fonti di zuccheri semplici sono stati considerati gli alimenti appartenenti a differenti gruppi:

  • vegetali;
  • cereali e prodotti da forno;
  • bevande zuccherate;
  • caffè,
  • tè e tisane;
  • latte e latticini in generale;
  • succhi di frutta;
  • caramelle, snack di cioccolata e dolci;
  • patate;
  • frutta secca e semi oleosi;
  • condimenti pronti e salse (maionese, ketchup, ecc.);
  • zuppe pronte e brodi.

Dalle analisi è emerso che:

  1. I succhi di frutta e le bevande zuccherate forniscono la maggior quota di zuccheri liberi: questo non è difficile da capire, basti considerare che una bottiglietta da 500 ml di thé delle più note marche contiene circa 50 g di zucchero che corrisponde a circa 10 zollette di zucchero.

  2. Le bevande sono seguite da latte e derivati: oltre a quelli naturalmente presenti nei prodotti non è raro che vengano aggiunti zuccheri, ad esempio negli yogurt soprattutto se aromatizzati. Leggendo le etichette nutrizionali è possibile vedere come alcuni yogurt etichettati come light, contengano più di 10 g di zucchero (quasi 2,5 zollette da 5 g). Negli yogurt considerati “light” ad essere abbattuto è il contenuto di grassi che nella migliore delle ipotesi vengono sostituiti da proteine, ma più spesso da zuccheri.

  3. Terzi in elenco risultano essere i dolciumi e le caramelle.

Mediamente i bambini europei consumano circa il 18% delle calorie giornaliere sotto forma di zuccheri semplici. A differenza dei bambini tedeschi – che sono quelli che ne abusano maggiormente (27,2%) – gli italiani sono tra i più virtuosi (13,3%), nonostante siano comunque sopra il limite consigliato dall’OMS.

L’Italia è comunque uno dei paesi con il più alto tasso di sovrappeso o obesità infantile.

Come riportato da uno studio del 2019 dell’OMS fatto su oltre 600 mila bambini provenienti da 21 paesi della comunità europea (Prevalence of severe obesity among primary school children in 21 european countries): nel nostro paese circa 1 bambino su 2 soffre di sovrappeso, mentre 1 su 5 è obeso conclamato e a soffrirne sono più i maschi delle femmine.

Lo studio IDEFICS conferma che, pur con delle notevoli differenze, in linea generale i bambini europei tra i 2 e i 9 anni assumono una quota di zuccheri liberi eccessiva rispetto a quella raccomandata dall’OMS.

Questi dati delineano uno scenario abbastanza preoccupante, è piuttosto comune infatti che gli alimenti indirizzati ad un pubblico giovane siano arricchiti di zuccheri semplici per renderli più appetibili per i piccoli acquirenti.

Gli zuccheri semplici aggiunti agli alimenti sono accusati di essere una delle principali cause di obesità e altre patologie croniche come il diabete di tipo 2, le differenze rilevate tra i diversi paesi devono essere tenute in considerazione per disegnare degli interventi educazionali specifici diretti non solo alla popolazione, ma anche all’industria alimentare.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.nutrition-foundation.it/notizie/tra-i-bambini-europei-di-eta-tra-2-e-9-anni-lapporto-di-zuccheri-liberi-eccede-le-raccomandazioni-delloms–i-bambini-italiani-sono-i-piu-moderati.aspx

http://www.ideficsstudy.eu/home.html

https://www.karger.com/Article/Pdf/500436

www.ilfattoalimentare.it

 

 

 

Dieta Mediterranea patrimonio dell’UNESCO

Quando si parla di “corretto regime alimentare” ci si riferisce ad una dieta che assicuri il giusto apporto di tutti i macronutrienti e i micronutrienti essenziali per lo sviluppo, la crescita e il mantenimento dello stato di salute dell’individuo.

In quest’ottica la Dieta Mediterranea meglio definita come “modello alimentare mediterraneo”, ispirato ai modelli alimentari seguiti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, è sicuramente quanto di più vicino ad un regime alimentare ottimale.

Le prime evidenze scientifiche della validità dei principi della Dieta Mediterranea risalgono agli anni ’50 con lo “Studio dei sette Paesi” promosso da Ancel Keys (1904 – 2004; biologo, fisiologo ed epidemiologo considerato il primo biologo nutrizionista della storia e padre fondatore della scienza dell’alimentazione) che ha coinvolto sette nazioni di quattro regioni della terra (Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Iugoslavia, Paesi Bassi e Giappone) e che ha studiato i rapporti tra stile di vita, dieta, ed insorgenza di malattie cardiache ed ictus. I risultati hanno dimostrato che più ci si allontanava dal regime alimentare tipico dei paesi del mediterraneo maggiore era l’incidenza di patologie cardiovascolari.

Nel 2010 l’UNESCO ha riconosciuto la Dieta Mediterranea comepatrimonio immateriale dell’umanità” riconoscendone la paternità ad Italia, Grecia, Marocco, Cipro, Croazia e Portogallo.

La Dieta Mediterranea rappresenta “un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo”.

È caratterizzata da cereali – soprattutto integrali – frutta fresca, frutta secca, verdura, olio d’oliva e spezie a cui si affianca un modesto consumo di derivati animali: latticini, carne, pesce.

Anche il vino – in particolare quello rosso, ricco di polifenoli – rientra con moderazione nel regime alimentare mediterraneo assieme a te, tisane e infusi che fanno parte delle diverse tradizioni di ogni paese.

L’effetto benefico sulla prevenzione di patologie cronico degenerative associato a questo regime alimentare, in particolare sulle patologie a carico del sistema cardiovascolare, è imputabile alla ricchezza di sostanze come acidi grassi insaturi e polinsaturi (omega-3 e omega-6), fibre e composti ad azione antiossidante caratteristici dei cibi di origine vegetale ed al bilanciamento delle calorie introdotte tra i diversi principi alimentari.

Per “bilanciamento delle calorie” si intende la ripartizione ottimale delle calorie assunte giornalmente tra i diversi nutrienti: in un regime alimentare ottimale le proteine devono rappresentare il 10-15% delle calorie introdotte giornalmente, i carboidrati il 55-60% mentre i grassi il 25-30%.

Il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha rilasciato un insieme di Linee Guida pratiche, ispirate ai principi della Dieta Mediterranea, per seguire un regime alimentare sano:

  • Consumare quotidianamente almeno 5 porzioni di frutta fresca e verdura e circa 30 g di frutta secca oleosa, secondo quanto indicato dai LARN (Standard delle Porzioni);
  • Ridurre il consumo di grassi saturi, in cui rientrano non solo burro e grassi animali ma anche l’olio di palma. Importante è la sostituzione nella dieta dei grassi saturi con grassi insaturi, come l’olio d’oliva o gli olii di semi preferibilmente utilizzati a crudo, che è in grado di favorire la normalizzazione dei livelli di colesterolo nel sangue contribuendo alla prevenzione di patologie a carico del sistema cardiocircolatorio;
  • Cercare di introdurre la maggior parte delle calorie giornaliere (circa il 50-60%) attraverso il consumo di carboidrati complessi fra cui cereali (farro, orzo, segale, ecc.), pasta, pane e riso preferibilmente integrali. I cereali integrali sono un’ottima fonte di fibre rispetto a quelli prodotti attraverso l’impiego di farina raffinata;
  • Favorire il consumo di proteine vegetali, come ad esempio i legumi, creando combinazioni che permettano l’assunzione di tutti gli amminoacidi essenziali. Il consumo di proteine animali andrebbe limitato;
  • Quando si consumano prodotti di origine animale sarebbe meglio scegliere il pesce e le carni bianche e limitare invece il consumo di carne rossa, insaccati e latticini (soprattutto quelli particolarmente grassi). Il consumo di questi ultimi andrebbe ridotto ad un massimo di 2 volte a settimana;
  • Ridurre il consumo di zucchero e prodotti addizionati di zuccheri semplici (merendine confezionate, dolciumi, caramelle, biscotti confezionati, ecc.);
  • Ridurre il consumo di sale, seguendo gli accorgimenti forniti dal Ministero della Salute;
  • Bere molta acqua (1 litro e mezzo al giorno) e limitare invece l’apporto di bibite in lattina e, soprattutto, di bevande alcoliche;
  • Variare molto le proprie scelte alimentari ogni giorno.

Per veicolare in modo facile ed intuitivo i principi della Dieta Mediterranea nel 1992 è stata ideata la Piramide Alimentare.  In tempi più recenti (2005) la piramide ha subito una sostanziale revisione dovuta sia ai cambiamenti dello stile di vita e delle abitudini della popolazione che alle nuove scoperte scientifiche in ambito alimentare:

  • I cereali raffinati (pasta, pane bianco, patate) sono stati spostati dalla base alla cima della piramide, tra gli alimenti da consumare con moderazione.  L’attenzione infatti si è spostata dal livello di complessità dei carboidrati alla loro capacità di incrementare più o meno velocemente la glicemia nel sangue. I cereali integrali hanno un impatto glicemico minore rispetto a quelli raffinati e sono da preferire.
  • Anche i lipidi hanno subito una modifica: infatti mentre all’apice sono stati lasciati solo i grassi di origine animale come consumo saltuario, i grassi vegetali (come l’olio d’oliva) sono stati spostati alla base come consumo quotidiano.

Fra i pilastri della dieta mediterranea, che si troverebbero idealmente alla base della piramide alimentare, ci sono anche aspetti che esulano dall’alimentazione vera e propria e che completano il quadro del regime alimentare perfetto:

  • Il piacere e la convivialità dei pasti: riscoprire il piacere di cucinare e, quando possibile, condividere i propri pasti contribuisce al benessere della persona,
  • La stagionalità dei prodotti: scegliere per ogni stagione i prodotti più adatti e ricchi di nutrienti,
  • Tenere sotto controllo il peso,
  • Ricordarsi sempre di associare ad una sana alimentazione anche attività fisica quotidiana: non è necessario esagerare, basta anche mezz’ora di attività aerobica moderata, come camminare, nuotare a rana o dorso o andare in bicicletta.

Bisogna sempre ricordare che: un sano stile di vita è nutrimento di benessere e longevità.

 

Fonti e approfondimenti:

G. Liguri; Nutrizione e dietologia – Aspetti clinici dell’alimentazione; Zanichelli

http://www.lascuoladiancel.it/ancel-keys/

http://www.nucisitalia.it/dieta-mediterranea/

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/dieta-mediterranea-una-piramide-di-salute

 

Proteine vegetali VS proteine animali

Uno dei macronutrienti fondamentali nella dieta di ognuno è rappresentato dalle proteine.

Le proteine, chimicamente parlando, sono formate da 20 amminoacidi combinati tra di loro. Hanno funzioni di vitale importanza all’interno del nostro corpo: catalizzano reazioni metaboliche, replicano il DNA, rispondono agli stimoli e trasportano molecole.

Le proteine devono essere introdotte nella dieta di ognuno, in quanto il nostro corpo non è in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi necessari (amminoacidi essenziali) che pertanto devono essere introdotti tramite gli alimenti. Attraverso la digestione infatti, le proteine vengono scisse in amminoacidi liberi, successivamente impiegati nella creazione di nuove proteine strutturali, enzimi, ormoni o fonte di energia.

Le proteine introdotte con la dieta posso essere classificate in proteine animali e proteine vegetali, la cui differenza principale risiede nel loro valore biologico.

Il valore biologico è un parametro di valutazione delle proteine introdotte nell’organismo con l’alimentazione. Questo indice si riferisce alla quantità, alla qualità ed al rapporto reciproco degli amminoacidi essenziali presenti nei peptidi alimentari.

Le proteine animali si trovano normalmente in alimenti come carne, uova, pesce e latticini. Hanno un alto valore biologico, sono di alta qualità poiché contengono tutti gli amminoacidi essenziali nella giusta quantità ma molto spesso sono soggette a critiche. A tal proposito una valida alternativa può essere rappresentata dalle proteine vegetali contenute normalmente in alimenti come legumi, cereali, frutta secca e semi. Anche se queste proteine hanno un più basso valore biologico in quanto sono carenti di uno o più amminoacidi essenziali, con i giusti abbinamenti tra loro possono risolvere tale problematica. Si parla in questo caso di complementazione proteica.

Tra le diverse fonti vegetali i semi di canapa sono una buona fonte di proteine. Essi contengono infatti tutti gli amminoacidi essenziali necessari alla sintesi delle proteine. I semi di canapa sono considerati un alimento completo dal punto di vista proteico. Gli 8 amminoacidi essenziali che essi contengono sono: leucina, isoleucina, fenilalanina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina. Contengono circa 6 grammi di proteine ogni 30 grammi di prodotto.

La stessa importanza hanno anche le mandorle, le quali tra la frutta secca, si distinguono per il loro elevato contenuto di proteine. 100 grammi di mandorle sgusciate possono contenere infatti fino a 20 grammi di proteine. Le mandorle possono costituire un ottimo spuntino spezza-fame in sostituzione dei comuni snack confezionati.

È tuttavia importante che la dieta preveda il consumo di una vasta classe di alimenti di origine vegetale e anche di qualche alimento animale introducendo così tutti i nutrienti fondamentali al nostro organismo.

 

Dott.ssa Nicolí Mariagrazia – Biologa Nutrizionista

 

BIBLIOGRAFIA

  1. ^Donald Voet, Judith G. Voet; Charlotte W. Pratt, Fundamentals of Biochemistry: Life at the Molecular Level, John Wiley & Sons, 1º aprile 2008
  2. https://www.airc.it/
  3. http://www.dietabit.it/

Una dieta scorretta incide significativamente sul nostro stato di salute

Secondo uno studio condotto da 130 ricercatori e pubblicato sulla rivista inglese The Lancet il 20% (1/5) dei decessi dovuti a patologie cardiovascolari, diabete e tumori sarebbero da imputare alla cattiva alimentazione.

Lo studio ha preso in considerazione 15 fattori di rischio dietetici significativi che possono incidere sullo stato di salute: basso consumo di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, frutta secca e semi oleosi, latte, fibre, calcio, omega-3 derivati dal pesce, acidi grassi polinsaturi e alto consumo di carne rossa, carni processate, bevande zuccherate, acidi grassi trans e sale. I dati sono stati raccolti in 195 paesi, tra il 1990 e il 2017, ed hanno quantificato l’impatto di una dieta squilibrata sul tasso di mortalità e sull’insorgenza di malattie non trasmissibili. In alcuni casi c’era una grande variabilità nei dati e nei consumi dei diversi tipi di alimenti oppure la quantità di dati disponibili per alcuni paesi erano insufficienti, ma in linea generale si è visto che il maggior numero di decessi era associato ad una dieta povera di frutta e cereali integrali e ricca di sodio.

Nel 2017 sono stati stimati 11 milioni di decessi associati ad una dieta con troppo sale e troppi pochi prodotti di origine vegetale, di cui la quasi totalità (9,5 milioni) dei decessi è stata causata da patologie cardiovascolari. Un altro dato interessante è che, nonostante le considerevoli differenze, nessun paese applica in maniera ottimale tutti e 15 gli elementi dietetici presi in considerazione dallo studio.

In linea generale si è visto che, nel 2017, il consumo di quasi tutti gli alimenti sani è risultato ben al di sotto delle dosi raccomandate, soprattutto per quanto riguarda frutta secca e semi, cereali integrali e latte, mentre il consumo di alimenti e nutrienti non salubri è risultato molto superiore rispetto alle quantità consigliate soprattutto per quanto riguarda carni lavorate, bevande zuccherate e sodio/sale. L’assunzione di cibi (sia quelli sani che malsani) è più alta tra gli adulti di mezza età (50-69 anni) e più bassa invece tra i giovani adulti (25-49 anni).

Di tutti i paesi presi in considerazione il più virtuoso è sicuramente lo stato di Israele dove i decessi annui associati ad un regime alimentare scorretto erano 89 su 100’000, seguito da Francia (89,1) e Spagna (89,5). Record negativo invece per l’Uzbekistan dove 892 decessi annui sui 100’000 sono da ricondursi ad una dieta sbagliata, seguito dall’Egitto (552 su 100’000). L’Italia si posiziona fra i paesi virtuosi con 107,7 decessi su 100’000, ma rimane comunque sotto a Francia e Spagna nonostante il bel-paese sia considerato la culla della Dieta Mediterranea ed entrambi gli altri paesi seguano un regime alimentare simile al nostro.

Questo studio è in un certo senso rivoluzionario perché adotta un metodo comunicativo differente dal solito: i ricercatori sostengono infatti che per migliorare la dieta della popolazione a livello globale sia più utile stimolare le persone ad aumentare il consumo di cibi più sani piuttosto che concentrare gli sforzi sulla riduzione del consumo di grassi e zuccheri correlati alla malattia.

I risultati sottolineano inoltre l’importanza del coinvolgimento delle politiche nazionali per quanto concerne produzione, distribuzione e consumo di cibo:

  • La disponibilità di frutta, verdura e alimenti freschi va aumentata, specialmente nei paesi a basso reddito,
  • Le grandi aziende alimentari devono essere costrette, tramite l’introduzione di tassazioni sugli alimenti meno salutari, ad immettere sul mercato prodotti più sani,
  • Gli specialisti del settore (medici, nutrizionisti, dietisti, ecc.) e i mass media dovrebbero essere incoraggiati a parlare dell’importanza di una buona e sana alimentazione con la popolazione.

Lo studio ha sicuramente alcune limitazioni dovute alla disponibilità di dati, soprattutto nei paesi più poveri, ma il messaggio è chiaro ed evidente:

La dieta, nel complesso, è in grado di incidere sulla nostra salute più dell’ipertensione e del fumo di sigaretta ed è quindi importante promuovere un’alimentazione sana e permettere anche ai paesi che oggi non ne beneficiano di poter accedere a cibo fresco, sano e di qualità.

Fonti e approfondimenti:

https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)30041-8/fulltext

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/undici-milioni-di-morti-per-colpa-della-cattiva-alimentazione

https://www.nytimes.com/2019/04/03/science/diet-vegetables.html

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/04/04/news/undici_milioni_di_morti_la_cattiva_alimentazione_uccide_piu_del_fumo-223204615/

Il cambio di stagione: aiuti e rimedi

Il cambio di stagione vuol dire cambiamento: le giornate, il tempo, l’umore e persino l’alimentazione.

Tutti questi cambiamenti spesso rappresentano uno “stress” in quanto conducono ad una modifica dei ritmi giorno/notte. La luce ed il buio infatti, sono in grado di attivare neurotrasmettitori capaci di influenzare corpo e mente. In particolare in inverno le giornate sono più corte ed il nostro organismo produce una quantità maggiore di melatonina, ormone del sonno. In primavera invece, con l´aumento della luce, viene prodotta più serotonina, ormone della felicità.

Con l´arrivo della primavera, spesso si percepisce un aumento di stanchezza, apatia, difficoltà di concentrazione, sbalzi di umore e problemi digestivi (il cosiddetto mal di primavera). Secondo una indagine realizzata dall’osservatorio Doxa-AIDEPI, sono ben 35 milioni le persone tra i 18 e i 70 anni che accusano, tanto dal punto di vista fisico quanto psicologico, il cambio di stagione. Il 64% degli italiani avverte un maggiore senso di stanchezza mentre il 52% accusa una certa spossatezza.

Molto comuni anche i disturbi legati al sonno tanto che, il 38% degli intervistati, ha problemi di insonnia. I più giovani (under 24) tendono a soffrire di più di irritabilità (40%) e malumore (37%) rispetto al resto degli italiani. E che dire dell’ansia? È un sentimento che interessa soprattutto le donne nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni (29%)

Per questo è fondamentale seguire una corretta alimentazione in base alla stagione prediligendo i giusti alimenti per ognuna. Uno dei pasti fondamentali, se non il più importante, per fornire la giusta carica ed energia ed affrontare la giornata ed il cambio stagionale con più grinta ed energia è senz’altro la colazione. Deve coprire almeno il 20-25% delle calorie complessive giornaliere.

Alcuni alimenti funzionali per una corretta colazione si rivelano i semi oleosi come i semi di chia, i semi di girasole ed i semi di canapa.

Rappresentano una buona fonte di fibre, minerali, acidi grassi essenziali, enzimi, antiossidanti e proteine. In particolare sono ricchi di minerali quali il ferro ed il manganese che contribuiscono a dare la giusta ricarica mattutina. Per 100 g di semi di canapa ad esempio, troviamo 7,2 mg di manganese, ottimo minerale per il mantenimento del normale funzionamento metabolico energetico e 11 mg di ferro, microelemento in grado di fornire un aiuto nella riduzione di fenomeni derivanti da eccessivo impegno metabolico quali stanchezza e affaticamento, partecipando contemporaneamente al sostegno della funzione cognitiva.

Questi semi hanno un valore nutritivo importante e possono essere aggiunti alle ricette della colazione (nello yogurt, sul pane caldo, nei cereali) senza modificarne il sapore e nello stesso tempo potenziando il profilo nutrizionale di inizio giornata.

A completare il tutto, per un´ottima colazione si rivela anche lo zenzero, un vero e proprio toccasana per il nostro corpo.

A tal proposito 100 g di polvere di zenzero contiene ben 25 mg di ferro e ben 28 mg di manganese oltre che rappresentare anche un ottimo alimento carminativo ed usato frequentemente per dispepsia e coliche.

Quindi cosa c’è di meglio con l`inizio della bella stagione di una buona tazza di yogurt fresco con una manciata di semi oleosi, polvere di zenzero e tè verde per iniziare la giornata in piena energia e ricarica?

La colazione è fondamentale e merita di essere caratterizzata dalla scelta dei giusti alimenti funzionali.

 

Dott.ssa Nicolí Mariagrazia – Biologa Nutrizionista

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Vohora, S.B. and Dandiya, P.C., 1992. Herbal analgesic drugs. Fitoterapia
  2. Nutsforlife edizioni, Buccella Francesca

Eccesso di sale: 7 consigli per limitarne il consumo

E’ ormai ampiamente dimostrato che esista una correlazione diretta fra il consumo eccessivo di sale e sodio e l’aumento della pressione sanguigna, con conseguente aumento del rischio di insorgenza di patologie a carico del sistema cardiovascolare e nervoso.

In alcuni casi il problema principale risulta essere proprio la difficoltà nel determinare l’effettiva quantità di sale e sodio assunti giornalmente con l’alimentazione: questa problematica si riscontra soprattutto in quei consumatori che seguono un regime alimentare costituito prevalentemente da prodotti industriali in cui il sale viene aggiunto non solo come conservante, ma anche per ragioni di sapore e consistenza.

Prodotti lattiero-caseari, carne e pesce, verdure in scatola, cereali, prodotti da forno, dolciumi, sottaceti e salse sono solo alcuni dei prodotti industriali che contengono elevati quantitativi di sale aggiunto.

 

Questo aspetto porta i consumatori a superare, spesso ampiamente, la quantità massima giornaliera di 5 g di sale (corrispondenti a 2 g di sodio) consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per cercare di mitigare il problema il Ministero della Salute italiano ha stilato una lista di alcuni accorgimenti che i consumatori possono adottare, sia in casa che al momento dell’acquisto, per iniziare a ridurre il rischio di sovra dosaggio di sale e di conseguenza di sodio nella propria alimentazione:

  1. Leggere sempre attentamente l’etichetta nutrizionale: scegliere i prodotti a minore contenuto di sale prediligere quelli a basso contenuto, cioè inferiore a 0.3 grammi per 100 g.

  2. Ridurre l’uso di sale aggiunto nelle preparazioni domestiche.

  3. Limitare l’uso di condimenti contenenti sodio come dadi da brodo, maionese, salse, ecc. e utilizziamo in alternativa spezie, erbe aromatiche, succo di limone o aceto per insaporire i cibi.

  4. Non portare in tavola la saliera, in modo che non si acquisisca l’abitudine di aggiungere sale sui cibi.

  5. Ridurre il consumo di snack salati, patatine, alcuni salumi, cibi in scatola, ecc. ad elevato contenuto di sale.

  6. Scolare e risciacquare sempre verdure e legumi in scatola.

  7. Evitare l’aggiunta di sale nelle pappe dei bambini.

Fonti e approfondimenti:

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=4950&area=stiliVita&menu=vuoto

Il consumo eccessivo di alimenti ultra-trasformati aumenta rischio di mortalità

Uno studio francese iniziato nel 2009 e seguito fino al 2017 ha portato alla luce la relazione fra consumo di alimenti industriali ultra-trasformati e l’aumento del rischio di mortalità.

Per alimenti ultra-trasformati si intendono quei cibi “caratterizzati da formulazioni pronte per il consumo o per il riscaldamento a base di ingredienti generalmente combinati con additivi” spesso ricchi di sale e zuccheri e poveri di vitamine, minerali e fibre.

Si tratta di uno studio di coorte prospettico osservazionale, questo significa che un gruppo di soggetti è stato seguito e controllato per i (circa) 7 anni di durata dello studio. La coorte era costituita da soggetti di 45 o più anni, selezionati fra quelli che hanno preso parte al progetto NutriNet-Santé. In totale hanno partecipato circa 44mila persone, di cui il 73,1% erano donne, con un’età media di circa 57 anni.

Durante il periodo in esame, ogni anno, i soggetti potevano compilare (in maniera non obbligatoria) i seguenti 5 questionari online:

  • Questionario alimentare (3 diari alimentari basati su giornate estratte a sorte)
  • Questionario sullo stato di salute
  • Questionario antropometrico
  • Questionario sul livello di attività fisica
  • Questionario socio-demografico e sullo stile di vita

A completamento dei 7 anni di follow-up sono stati presi in considerazione solo i soggetti che avessero completato almeno 1 dei 3 diari alimentari giornalieri richiesti per i primi 2 anni di osservazione.

Dai dati è emerso che gli alimenti ultra-processati rappresentavano circa il 14,4% del quantitativo totale del cibo consumato giornalmente, corrispondente al 29,1% dell’apporto energetico totale.

Durante il corso dello studio ci sono state 602 morti principalmente a causa di neoplasie e patologie cardiovascolari.

Alla fine del follow-up è risultato che un aumento del 10% del consumo nella propria alimentazione di cibi industriali (fra cui rientrano noodles istantanei, zuppe liofilizzate, crocchette di pollo, bibite, snack e barrette di cioccolata, cereali per la colazione e molti altri) era associato ad un incremento di circa il 14% del rischio di mortalità per tutte le cause.

Nonostante questo risultato la co-autrice Mathilde Touvier, direttrice del centro di ricerca francese per la salute pubblica, ha sottolineato la necessità di non creare allarmismi. Lo studio infatti si conclude dicendo che “sono necessari ulteriori studi prospettici per confermare questi risultati e per districare i vari meccanismi attraverso i quali i cibi ultra-processati possono influire sulla salute”.

È evidente che questi risultati siano alquanto preoccupanti, ma come per qualsiasi ambito, in particolare quello dell’alimentazione, vige la regola del buon senso e della modica quantità: è ovvio che il consumo saltuario/occasionale di cibi pronti ed industriali non porti ad un aumento del 14% del rischio di mortalità, diverso è invece quando questi alimenti vanno a costituire la parte predominante della dieta quotidiana.

È fondamentale fare luce sull’argomento: spesso infatti chi sceglie di alimentarsi prevalentemente con prodotti industriali ultra-trasformati lo fa per questioni di prezzo (gli alimenti industriali di scarsa qualità e scarso contenuto di nutrienti utili hanno costi generalmente inferiori rispetto ai prodotti freschi e di qualità), di gusto (i prodotti trasformati sono quasi sempre ricchi di sale, zuccheri e aromatizzanti il cui scopo è quello di aumentare la sapidità del prodotto) e/o per mancanza di tempo e voglia di cucinare, questo a discapito del valore nutrizionale di un alimento, dell’importanza di una dieta sana e bilanciata e, di conseguenza, della propria salute.

L’obiettivo di Euro Company è quello di garantire ai propri consumatori prodotti di qualità, poco trasformati, senza additivi ne conservanti e provenienti da filiere etiche e controllate.

Fonti e approfondimenti:

https://www.etude-nutrinet-sante.fr/

Schnabel L, Kesse-Guyot E, Allès B, et al. Association Between Ultraprocessed Food Consumption and Risk of Mortality Among Middle-aged Adults in France. JAMA Intern Med. Published online February 11, 2019. doi:10.1001/jamainternmed.2018.7289 – https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2723626

http://www.leparisien.fr/societe/malbouffe-une-nouvelle-etude-pointe-les-aliments-ultratransformes-12-02-2019-8010051.php