Azioni efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate: una revisione

In una revisione pubblicata sul Cochrane Database of Systematic Reviews (CDSR) è stato presentato un elenco di interventi che si sono rivelati effettivamente utili nella lotta al consumo di bevande zuccherate

Il Cochrane Database of Systematic Reviews è uno degli archivi più importanti per ciò che riguarda revisioni in ambito sanitario ed è di proprietà di Cochrane, una rete globale indipendente di ricercatori, professionisti, pazienti, assistenti e persone interessate alla salute.

Il motivo che ha spinto gli esperti di Cochrane a raccogliere questi dati è che ormai è scientificamente dimostrato che l’eccessivo consumo di zuccheri aggiunti e di bevande zuccherate, in cui rientrano non solo la coca-cola e l’aranciata, ma anche quelle che possono sembrare più “innocue” come il tè freddo e i succhi di frutta, rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza di diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, obesità e carie dentali.

Questo tipo di bevande forniscono solo “calorie vuote” derivate dagli zuccheri semplici senza apportare nessun nutriente utile o dare senso di sazietà.

L’assunzione di bevande zuccherate durante la prima infanzia inoltre rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di obesità in età scolare.

Una ricerca pubblicata nel 2014 sulla rivista Pediatrics illustra come il tasso di obesità fra i bambini di 6 anni che assumevano bevande zuccherate era del 17% contro l’8,6% di quelli che non le consumavano, praticamente il doppio.

Trovare strategie efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate, soprattutto fra bambini e adolescenti che ne sono i principali consumatori, permetterebbe di contribuire alla prevenzione dell’insorgenza di sovrappeso, obesità e patologie ad esse correlate già a partire dalla giovane età.

La revisione in esame prende in considerazione 58 studi che analizzano le cosiddette “strategie ambientali” attuabili per ridurre il consumo di bevande zuccherate.

Per “strategie ambientali” si intendono quegli interventi il cui scopo è modificare il contesto sociale che porta l’individuo a scegliere di acquistare un determinato tipo di prodotto, in questo caso una bevanda zuccherata.

Tutti gli studi in esame avevano una durata media di circa un anno: sono stati svolti in scuole, negozi o ristoranti e complessivamente hanno coinvolto più di un milione di persone fra adulti, adolescenti e bambini.

Tra gli interventi risultati più efficaci sono stati riscontrati:

  1. L’utilizzo di etichette nutrizionali di facile comprensione, ad esempio l’etichettatura a semaforo;

  2. Limitare la disponibilità di bevande zuccherate nelle scuole;

  3. Aumentare i prezzi delle bevande zuccherate vendute nei ristoranti, nei negozi e nei luoghi di svago;

  4. Sostituire le bevande zuccherate nei menù per bambini con bibite più salutari o semplicemente con acqua;

  5. Fare promozione su bevande più salutari nella grande distribuzione;

  6. Mettere a disposizione buoni per promuovere l’acquisto di prodotti come frutta e verdura;

  7. Promuovere iniziative che rendano l’acqua facilmente disponibile;

  8. L’introduzione, nelle scuole, di premi per i bambini che scelgono di consumare acqua piuttosto che bibite zuccherate.

L’autore della revisione il professor Hnas Hauner, professore di medicina nutrizionale presso la Technical University di Monaco, spiega che per riuscire a combattere l’eccessivo consumo di bevande zuccherate nel mondo “i governi e le aziende di settore devono fare la loro parte per convincere i consumatori a fare scelte sane. Questa revisione evidenzia le misure chiave che possono contribuire a raggiungere ciò” .

L’OMS consiglia di limitare l’assunzione di zuccheri semplici al 5-10% dell’introito calorico giornaliero e gli zuccheri presenti nelle bevande zuccherate vanno a sommarsi agli zuccheri aggiunti presenti in diversi prodotti industriali:

  • snack dolci e salati;
  • sughi pronti;
  • biscotti;
  • crackers;
  • salse;
  • yogurt;
  • piatti pronti;
  • e moltissimi altri. 

Il fatto che gli zuccheri aggiunti si trovino anche all’interno di prodotti insospettabili rende molto difficile per i consumatori rimanere all’interno del range consigliato.

E’ importante sottolineare che le raccomandazioni si riferiscono solo a glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti agli alimenti e a quelli presenti in miele e sciroppi, sono quindi esclusi gli zuccheri naturalmente presenti in frutta, verdura o nel latte, per i quali vigono le regole di una sana ed equilibrata alimentazione e non esistono vere e proprie controindicazioni. 

La promozione di un regime alimentare sano, di iniziative che stimolino i consumatori a preferire alimenti poco elaborati e la semplificazione e trasparenza delle etichette nutrizionali sono sicuramente strategie efficaci per vincere la lotta all’eccesso di zuccheri.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD012292.pub2/full

http://www.informasalus.it/it/articoli/strategia-ridurre-bevande-zuccherate.php

http://www.sinu.it/html/wlnews/24-03-2015/organizzazione_mondiale_della_sanit_nuove_linee_guida_sullassunzione_di_zuccheri_valide_per_adulti_e_bambini.asp

Pan L, Li R, Park S, Galuska DA, Sherry B, Freedman DS. A longitudinal analysis of sugar-sweetened beverage intake in infancy and obesity at 6 years. Pediatrics. 2014;134 Suppl 1:S29-35.

Consigli per l’estate: linee guida per una corretta igiene alimentare

L’estate, il caldo e la bella stagione fanno venire voglia di passare il proprio tempo libero fuori casa e, di conseguenza, aumentano anche le occasioni per mangiare all’aperto: grigliate, picnic, scampagnate, pranzi in spiaggia…sono tanti i momenti in cui poter godere di un buon pasto in compagnia, all’aria aperta.

Purtroppo le temperature elevate e l’assenza di piani di appoggio puliti e igienizzati rendono più difficile la conservazione del cibo e favoriscono le contaminazioni degli alimenti e la proliferazione dei batteri, con il conseguente rischio di contrarre infezioni intestinali e incorrere in intossicazioni alimentari.

L’USAV (Ufficio federale svizzero della sicurezza alimentare e veterinaria) ha stilato un elenco di 4 linee guida igieniche di base da osservare sempre, ma in particolare nel periodo estivo, per preparare, conservare e consumare i propri cibi in sicurezza e godersi la bella stagione senza pensieri:

  1. Lavare sempre bene le mani con il sapone dopo aver maneggiato il cibo, soprattutto se si parla di carne, pollame, pesce e frutti di mare crudi. Lavare sempre a fondo e con il detergente adatto il piano di lavoro e gli utensili (coltelli, piatti, taglieri, ecc.) che sono entrati in contatto con il cibo crudo per evitare di trasmettere eventuali contaminanti ad altri alimenti.

  2. Cuocere sempre pesce e carne ad almeno 70°C e utilizzare la stessa temperatura anche per riscaldare i cibi già cotti, superando questa temperatura i potenziali microrganismi contaminanti vengono uccisi.

  3. Evitare il contatto fra carne e pesce crudi e altri alimenti. Meglio anche evitare di utilizzare gli stessi utensili (coltelli, taglieri, ecc.) per i cibi che devono essere cotti e per quelli che devono essere consumati crudi e separare i cibi già cotti da quelli crudi. I patogeni si trasmettono da un alimento all’altro molto velocemente e il caldo ne favorisce la proliferazione.

  4. Quando si fa la spesa gli alimenti freschi o congelati devono velocemente essere riposti nel frigo o nel freezer. Pesce carne e pollame vanno conservati a temperature inferiori a 5° e una volta scongelati vanno consumati il prima possibile, non possono essere nuovamente riposti in congelatore. Anche i cibi cotti devono essere conservati in frigorifero in appositi contenitori chiusi.

Ultimo, ma non meno importante:

Rispettare sempre le condizioni di conservazione e fare attenzione alla data di scadenza riportata sulla confezione, soprattutto se si tratta di prodotti di origine animale.

Si tratta di poche, semplici e intuitive regole di igiene alimentare che possono però evitare di trasformare un picnic con gli amici in una corsa all’ospedale con i crampi allo stomaco.

Come si suol dire: prevenire è sempre meglio che curare!

Fonti e approfondimenti:

https://www.blv.admin.ch/blv/it/home/lebensmittel-und-ernaehrung/lebensmittelsicherheit/krankheitserreger-und-hygiene/hygiene.html

 

 

Lo sviluppo agroalimentare sostenibile: cresce il divario tra Nord e Sud del mediterraneo

La sfida principale per l’intero settore alimentare è fornire cibo in quantità e qualità sufficienti per soddisfare il fabbisogno nutrizionale globale e, allo stesso tempo, preservare le risorse naturali e gli ecosistemi per sostenere il sistema agroalimentare sul lungo termine.

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite identificano le principali aree su cui si dovrebbero concentrare gli sforzi congiunti dei paesi del Mediterraneo, ma per essere messe in pratica necessitano di azioni concrete e immediate.

Nei prossimi anni la crescente pressione sulle risorse agro-alimentari, i mutamenti nell’uso delle risorse e i cambiamenti climatici accentueranno il divario tra Nord e Sud del Mediterraneo, e questo richiederà da parte dei governi risposte differenziate, ma coordinate, a livello sia strutturale che di comportamenti individuali” queste le parole del professor Pierangelo Isernia coordinatore, assieme al professor Angelo Riccaboni (presidente della fondazione PRIMA – Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area), del gruppo di ricerca Delphi AgrifoodMed dell’Università di Siena, il cui scopo è quello di sviluppare soluzioni intelligenti e innovative per una più sostenibile gestione idrica e dei sistemi agroalimentari nell’area mediterranea, attraverso la promozione di ricerca e innovazione.

A giugno, nell’ambito del convegno “Lo Sviluppo Sostenibile: Didattica, Ricerca & Innovazione nel campo agroalimentare per l’Agenda 2030”, sono stati presentati i risultati di un’indagine che da settembre 2017 a ottobre 2018 ha coinvolto un gruppo di 79 esperti, scelti fra professionisti e studiosi di diverse aree di competenza e provenienti da diversi paesi.

Questa ricerca si è articolata in tre fasi:

  1. Identificare le principali tendenze in corso sulla sostenibilità del sistema agroalimentare e idrico nel breve (2020) e lungo periodo (2030);

  2. Valutare la fattibilità degli interventi politici che i diversi paesi dell’area Mediterranea dovranno mettere in pratica in termini di gestione delle risorse idriche, sistemi agricoli e catene del valore agroalimentare;

  3. Fornire suggerimenti pratici che fungeranno da guida per tutti i soggetti interessati nella catena di approvvigionamento alimentare.

I risultati hanno portato all’identificazione di tre aspetti critici che si articoleranno nel breve e nel lungo periodo:

  • Il divario tra i modelli di sviluppo sostenibile dei paesi del nord del Mediterraneo (Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) e quelli del sud (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Tunisia, Turchia) continua a crescere;
  • I cambiamenti climatici incideranno in maniera negativa sul sistema agroalimentare aumentando le pressioni ambientali;
  • L’abbandono della dieta mediterranea in favore di una dieta più ricca di carni rosse, carboidrati raffinati, zuccheri e alimenti trasformati, ha profonde implicazioni sulle prospettive di salute delle popolazioni mediterranee.

Gli interventi politici che gli esperti hanno reputato “altamente desiderabili e altamente fattibili”, cioè quelli prioritari, sono essenzialmente cinque:

  1. Agire sulla salute pubblica aumentando la consapevolezza sanitaria e alimentare a partire dalle scuole. Questo permetterebbe di intervenire sui crescenti trassi di sovrappeso e obesità diffusi nelle aree mediterranee;
  2. Porre fine all’uso routinario di antibiotici in animali sani promuovendo la crescita e prevenendo le malattie infettive;
  3. Creare opportunità di lavoro per i giovani nelle aree mediterranee;
  4. Coinvolgere gli agricoltori nell’uso di nuove tecnologie per migliorare l’efficienza delle pratiche agricole;
  5. Affrontare il divario tecnologico e gestionale attraverso una maggiore collaborazione fra operatori del settore agricolo e comunità di ricerca, promuovendo l’innovazione nel settore agricolo.

Per stimolare lo sviluppo sostenibile e coordinato delle regioni del mediterraneo è necessario uno sforzo congiunto da parte dei governi di tutti i paesi.

L’impegno per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 quindi deve coinvolgere tutti gli attori della filiera agroalimentare e non deve essere sottovalutato, per la salute nostra e del nostro pianeta.

Come dice un antico detto del popolo Masai: tratta bene la Terra, non è un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.primaitaly.it/2019/06/12/sostenibilita-agroalimentare-e-idrica-nel-mediterraneo-il-divario-tra-nord-e-sud-e-destinato-ad-aumentare-nei-prossimi-anni/

http://www.primaitaly.it/wp-content/uploads/2019/06/AGRIFOODMED-Delphi-Final-Report.pdf

Studio IDEFICS: Troppi zuccheri semplici nella dieta dei bambini europei

In Europa soltanto la dieta di 20 bambini su 100 rispetta le linee guida dell’OMS soprattutto per quanto riguardo l’apporto di zuccheri semplici.

È quello che emerge dallo studio IDEFICS (Identification and prevention of Dietary and lifestyle induced health EFfects in Children and infantS), iniziato nel settembre del 2006 e concluso in febbraio 2012, il cui scopo era quello di raccogliere dati utili per effettuare una valutazione internazionale del problema dell’obesità infantile.

Nello studio sono stati presi in considerazione i consumi di zuccheri semplici presenti nella dieta di 16.228 bambini nella fascia d’età 2-9 anni in otto Paesi europei, Italia compresa. Il 20% dei bambini presi in considerazione sono risultati sovrappeso o obesi.

Con il termine “zuccheri semplici” o “zuccheri liberi” in etichetta vengono identificati sia il glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti in un alimento industriale al momento della produzione, durante la cottura o prima del consumo, sia gli zuccheri naturalmente presenti nell’alimento.

L’OMS suggerisce che gli zuccheri semplici non debbano costituire più del 10% dell’apporto calorico giornaliero.

Come fonti di zuccheri semplici sono stati considerati gli alimenti appartenenti a differenti gruppi:

  • vegetali;
  • cereali e prodotti da forno;
  • bevande zuccherate;
  • caffè,
  • tè e tisane;
  • latte e latticini in generale;
  • succhi di frutta;
  • caramelle, snack di cioccolata e dolci;
  • patate;
  • frutta secca e semi oleosi;
  • condimenti pronti e salse (maionese, ketchup, ecc.);
  • zuppe pronte e brodi.

Dalle analisi è emerso che:

  1. I succhi di frutta e le bevande zuccherate forniscono la maggior quota di zuccheri liberi: questo non è difficile da capire, basti considerare che una bottiglietta da 500 ml di thé delle più note marche contiene circa 50 g di zucchero che corrisponde a circa 10 zollette di zucchero.

  2. Le bevande sono seguite da latte e derivati: oltre a quelli naturalmente presenti nei prodotti non è raro che vengano aggiunti zuccheri, ad esempio negli yogurt soprattutto se aromatizzati. Leggendo le etichette nutrizionali è possibile vedere come alcuni yogurt etichettati come light, contengano più di 10 g di zucchero (quasi 2,5 zollette da 5 g). Negli yogurt considerati “light” ad essere abbattuto è il contenuto di grassi che nella migliore delle ipotesi vengono sostituiti da proteine, ma più spesso da zuccheri.

  3. Terzi in elenco risultano essere i dolciumi e le caramelle.

Mediamente i bambini europei consumano circa il 18% delle calorie giornaliere sotto forma di zuccheri semplici. A differenza dei bambini tedeschi – che sono quelli che ne abusano maggiormente (27,2%) – gli italiani sono tra i più virtuosi (13,3%), nonostante siano comunque sopra il limite consigliato dall’OMS.

L’Italia è comunque uno dei paesi con il più alto tasso di sovrappeso o obesità infantile.

Come riportato da uno studio del 2019 dell’OMS fatto su oltre 600 mila bambini provenienti da 21 paesi della comunità europea (Prevalence of severe obesity among primary school children in 21 european countries): nel nostro paese circa 1 bambino su 2 soffre di sovrappeso, mentre 1 su 5 è obeso conclamato e a soffrirne sono più i maschi delle femmine.

Lo studio IDEFICS conferma che, pur con delle notevoli differenze, in linea generale i bambini europei tra i 2 e i 9 anni assumono una quota di zuccheri liberi eccessiva rispetto a quella raccomandata dall’OMS.

Questi dati delineano uno scenario abbastanza preoccupante, è piuttosto comune infatti che gli alimenti indirizzati ad un pubblico giovane siano arricchiti di zuccheri semplici per renderli più appetibili per i piccoli acquirenti.

Gli zuccheri semplici aggiunti agli alimenti sono accusati di essere una delle principali cause di obesità e altre patologie croniche come il diabete di tipo 2, le differenze rilevate tra i diversi paesi devono essere tenute in considerazione per disegnare degli interventi educazionali specifici diretti non solo alla popolazione, ma anche all’industria alimentare.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.nutrition-foundation.it/notizie/tra-i-bambini-europei-di-eta-tra-2-e-9-anni-lapporto-di-zuccheri-liberi-eccede-le-raccomandazioni-delloms–i-bambini-italiani-sono-i-piu-moderati.aspx

http://www.ideficsstudy.eu/home.html

https://www.karger.com/Article/Pdf/500436

www.ilfattoalimentare.it

 

 

 

Una dieta scorretta incide significativamente sul nostro stato di salute

Secondo uno studio condotto da 130 ricercatori e pubblicato sulla rivista inglese The Lancet il 20% (1/5) dei decessi dovuti a patologie cardiovascolari, diabete e tumori sarebbero da imputare alla cattiva alimentazione.

Lo studio ha preso in considerazione 15 fattori di rischio dietetici significativi che possono incidere sullo stato di salute: basso consumo di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, frutta secca e semi oleosi, latte, fibre, calcio, omega-3 derivati dal pesce, acidi grassi polinsaturi e alto consumo di carne rossa, carni processate, bevande zuccherate, acidi grassi trans e sale. I dati sono stati raccolti in 195 paesi, tra il 1990 e il 2017, ed hanno quantificato l’impatto di una dieta squilibrata sul tasso di mortalità e sull’insorgenza di malattie non trasmissibili. In alcuni casi c’era una grande variabilità nei dati e nei consumi dei diversi tipi di alimenti oppure la quantità di dati disponibili per alcuni paesi erano insufficienti, ma in linea generale si è visto che il maggior numero di decessi era associato ad una dieta povera di frutta e cereali integrali e ricca di sodio.

Nel 2017 sono stati stimati 11 milioni di decessi associati ad una dieta con troppo sale e troppi pochi prodotti di origine vegetale, di cui la quasi totalità (9,5 milioni) dei decessi è stata causata da patologie cardiovascolari. Un altro dato interessante è che, nonostante le considerevoli differenze, nessun paese applica in maniera ottimale tutti e 15 gli elementi dietetici presi in considerazione dallo studio.

In linea generale si è visto che, nel 2017, il consumo di quasi tutti gli alimenti sani è risultato ben al di sotto delle dosi raccomandate, soprattutto per quanto riguarda frutta secca e semi, cereali integrali e latte, mentre il consumo di alimenti e nutrienti non salubri è risultato molto superiore rispetto alle quantità consigliate soprattutto per quanto riguarda carni lavorate, bevande zuccherate e sodio/sale. L’assunzione di cibi (sia quelli sani che malsani) è più alta tra gli adulti di mezza età (50-69 anni) e più bassa invece tra i giovani adulti (25-49 anni).

Di tutti i paesi presi in considerazione il più virtuoso è sicuramente lo stato di Israele dove i decessi annui associati ad un regime alimentare scorretto erano 89 su 100’000, seguito da Francia (89,1) e Spagna (89,5). Record negativo invece per l’Uzbekistan dove 892 decessi annui sui 100’000 sono da ricondursi ad una dieta sbagliata, seguito dall’Egitto (552 su 100’000). L’Italia si posiziona fra i paesi virtuosi con 107,7 decessi su 100’000, ma rimane comunque sotto a Francia e Spagna nonostante il bel-paese sia considerato la culla della Dieta Mediterranea ed entrambi gli altri paesi seguano un regime alimentare simile al nostro.

Questo studio è in un certo senso rivoluzionario perché adotta un metodo comunicativo differente dal solito: i ricercatori sostengono infatti che per migliorare la dieta della popolazione a livello globale sia più utile stimolare le persone ad aumentare il consumo di cibi più sani piuttosto che concentrare gli sforzi sulla riduzione del consumo di grassi e zuccheri correlati alla malattia.

I risultati sottolineano inoltre l’importanza del coinvolgimento delle politiche nazionali per quanto concerne produzione, distribuzione e consumo di cibo:

  • La disponibilità di frutta, verdura e alimenti freschi va aumentata, specialmente nei paesi a basso reddito,
  • Le grandi aziende alimentari devono essere costrette, tramite l’introduzione di tassazioni sugli alimenti meno salutari, ad immettere sul mercato prodotti più sani,
  • Gli specialisti del settore (medici, nutrizionisti, dietisti, ecc.) e i mass media dovrebbero essere incoraggiati a parlare dell’importanza di una buona e sana alimentazione con la popolazione.

Lo studio ha sicuramente alcune limitazioni dovute alla disponibilità di dati, soprattutto nei paesi più poveri, ma il messaggio è chiaro ed evidente:

La dieta, nel complesso, è in grado di incidere sulla nostra salute più dell’ipertensione e del fumo di sigaretta ed è quindi importante promuovere un’alimentazione sana e permettere anche ai paesi che oggi non ne beneficiano di poter accedere a cibo fresco, sano e di qualità.

Fonti e approfondimenti:

https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(19)30041-8/fulltext

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/undici-milioni-di-morti-per-colpa-della-cattiva-alimentazione

https://www.nytimes.com/2019/04/03/science/diet-vegetables.html

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/04/04/news/undici_milioni_di_morti_la_cattiva_alimentazione_uccide_piu_del_fumo-223204615/

Impronta idrica delle proteine animali: l’impatto della produzione sulle risorse idriche in Europa

Una dieta a ridotto contenuto di carne e derivati animali può contribuire a salvaguardare le risorse idriche del nostro pianeta: a sostenerlo è una ricerca recentemente pubblicata sulle pagine di Nature Sustainability condotta da un team di ricercatori del Joint Research Centre della Commissione Europea.

Questa ricerca analizza i dati relativi all’impronta idrica che le produzioni alimentari hanno sulle acque dolci globali che vengono suddivise in acque blu (cioè le masse d’acqua più evidenti, come quelle costituite da fiumi, laghi, paludi e falde acquifere) e acque verdi (cioè l’acqua che si trova nel suolo, formata dalle precipitazioni e disponibile per le piante).

L’impronta idrica (Water Footprint) è un indicatore che permette di capire quanta acqua viene impiegata ed inquinata, in maniera diretta o indiretta, per la produzione di un bene in questo caso di cibo.

La ricerca è stata condotta raccogliendo dati in diverse aree dei tre paesi europei che disponevano del maggior quantitativo di informazioni: Regno Unito, Germania e Francia. Sono stati presi in considerazione sia fattori socioeconomici (età, sesso e livello di istruzione) che diverse tipologie di diete.

È risultato che oggi l’impronta idrica nazionale associata alla produzione, importazione e consumo di alimenti (calcolando sia in base al consumo di acqua verde che blu) è di:

  • 2.757 (92% verde e 8% blu) litri pro capite al giorno per il Regno Unito,
  • 2.929 (95% verde e 5% blu) litri pro capite al giorno per la Germania,
  • 3.861 (93% verde e 7% blu) litri pro capite al giorno per la Francia.

I tre scenari dietetici presi in considerazioni sono invece:

  • Una dieta salutare comprendente carne (HEALTHY-MEAT): comprende prodotti appartenenti a tutti i gruppi alimentari (carne, pesce, latte e derivati ​​del latte, grassi animali, legumi e olio e così via).
  • Una dieta pescitariana sana (HEALTHY-PESC): dove la carne viene sostituita da legumi e semi oleaginosi. I grassi animali sono sostituiti da oli vegetali.
  • Una dieta vegetariana sana (HEALTHY-VEG): identica alla dieta pescitariana, ma dove anche il pesce viene sostituito da legumi e semi oleaginosi.

Questi sono i tre stili alimentari comunemente identificati, utilizzati e basati su linee guida dietetiche alimentari riconosciute a livello nazionale.

Da queste analisi i ricercatori hanno dedotto che, rispetto alle attuali diete seguite nei diversi paesi, il consumo di acqua necessario per la produzione di alimenti potrebbe essere ridotto:

  • Tra l’11% e il 35% nel caso in cui si seguisse un regime alimentare HEALTHY-MEAT,
  • Tra il 33% e il 55% nel caso in cui si seguisse un regime alimentare HEALTHY-PESC,
  • Tra il 35% e il 55% nel caso in cui si seguisse un regime alimentare HEALTHY VEG.  

Risulta quindi evidente che la riduzione del consumo di carne a livello europeo, ed il conseguente passaggio ad un regime alimentare di tipo vegetariano o pescitariano, contribuirebbe in maniera significativa alla riduzione dell’impronta idrica totale: i prodotti animali hanno in genere un’impronta idrica maggiore rispetto ai prodotti vegetali. Secondo il Water Footprint Network l’impronta idrica media (per caloria) per la produzione di carne bovina è venti volte superiore rispetto a quella dei cereali e delle radici amidacee.

Per quanto riguarda il fabbisogno idrico generale per la produzione di proteine è stato riscontrato che l’impronta idrica per g di proteine derivate da carni bovine ​​è circa 6 volte maggiore rispetto a quella dei legumi.

Ad oggi la dieta europea prevede un consumo di prodotti di origine animale eccessivo e questo porta ad un aumento della richiesta di carne sul mercato e ad un conseguente aumento del numero di allevamenti di bestiame.

La produzione animale globale impiega ogni anno circa 2422 Gm 3 di acqua dolce. Un terzo di queste risorse idriche è destinato all’allevamento di bovini da carne; mentre un altro 19% va al settore dei bovini da latte. La maggior parte del volume totale di acqua (98%) si riferisce all’impronta idrica associata alla produzione di mangime per il sostentamento degli animali da allevamento.

Il passaggio ad un regime alimentare più sano e composto prevalentemente da alimenti di origine vegetale permetterebbe quindi non solo di ridurre l’impatto negativo sulla salute dell’uomo, ma anche sul consumo di importanti risorse idriche.

Euro Company, a questo proposito, ha come obiettivo quello di promuovere un’alimentazione sana e consapevole attraverso la produzione di alimenti 100% derivati dalla sola lavorazione di frutta secca e semi oleosi, fonte di proteine di origine vegetale.

Fonti e approfondimenti:

https://www.nature.com/articles/s41893-018-0133-x

https://www.repubblica.it/ambiente/2018/09/21/news/cosi_la_dieta_diventa_sostenibile_mangiare_meno_carne_per_avere_piu_acqua-207024769/

https://waterfootprint.org/en/water-footprint/product-water-footprint/water-footprint-crop-and-animal-products/

4-10 Marzo 2019: Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale

Ridurre l’introito di sale del 30% a livello globale entro il 2025, questo è l’ambizioso obiettivo dell’OMS – Organizzazione mondiale della sanità.

A questo scopo è stata istituita la “Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale“, dal 4 al 10 marzo si mette in luce la necessità di sensibilizzare le perone a ridurre il consumo alimentare di sale.

A promuovere l’iniziativa è la World Action on Salt & Health (WASH) istituita nel 2005, un’associazione che si occupa di migliorare la salute delle popolazioni attraverso la graduale riduzione dell’introito di sodio.
Lo scopo di questa iniziativa, oltre alla sensibilizzazione del consumatore finale, è quello di “incoraggiare le aziende alimentari multinazionali a ridurre il sale nei loro prodotti e a sensibilizzare i Governi sulla necessità di una ampia strategia di popolazione per la riduzione del consumo alimentare di sale“.

E’ ormai noto che un eccessivo consumo di sale e sodio con l’alimentazione sia direttamente associato all’aumento della pressione arteriosa e quindi, indirettamente, all’aumento del rischio di insorgenza di patologie a carico del sistema cardio-circolatorio e del sistema nervoso, quali infarto del miocardio e ictus cerebrale.

Cosa meno nota è invece che l’eccessiva assunzione di sale è stata associata anche ad altre gravi malattie cronico-degenerative, quali tumori, in particolare quelli dello stomaco, osteoporosi e malattie renali.

Come si legge sul sito del Ministero della Salute:

“La settimana mondiale 2019, dedicata al tema Let’s take salt off the menu (togliamo il sale dai menù), mira anche quest’anno a promuovere l’azione degli Stati e a sensibilizzare l’opinione pubblica, ricordando gli effetti nocivi del consumo eccessivo di sale e incoraggiando la popolazione ad apportare modifiche alle abitudini alimentari e di acquisto”.

 

Fonti e approfondimenti:

Link al poster: http://www.worldactiononsalt.com/media/action-on-salt/awareness/WASH-Version-Poster-2019.pdf

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3663

http://www.worldactiononsalt.com/

Una Dieta Sostenibile è possibile: per noi e per il pianeta

Il 17 gennaio ad Oslo la Commissione EAT-Lancet ha presentato il report di un progetto di ricerca e revisione durato 3 anni il cui obiettivo era gettare le basi per la definizione di una dieta universale, sana e sostenibile dal punto di vista ambientale.

Questo studio si è rivelato necessario in quanto è sempre più evidente che la scelta del cibo e il modo in cui questo viene coltivato, trasformato, trasportato, consumato e sprecato influiscono in maniera evidente sullo stato di salute non solo delle persone, ma anche dell’intero pianeta.

Esistono forti evidenze a sostegno del fatto che le produzioni alimentari siano tra le maggiori produttrici di gas serra e tra i principali responsabili dei cambiamenti ambientali globali in particolare cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, sfruttamento delle acque dolci, interferenze con i cicli globali di azoto e fosforo e cambiamenti del sistema terrestre. Allo stesso tempo, diete non sane sono tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza di malattie come diabete, patologie cardiovascolari e tumori in tutto il mondo. Si stima che l’incidenza di una dieta sbagliata sulle cause di mortalità sia più alta di quella di alcol, droghe, tabacco e rapporti sessuali non protetti messi assieme. A questo si aggiunge il forte stato di denutrizione globale nei paesi in via di sviluppo: oggi infatti più di 800 milioni di persone non hanno cibo sufficiente per il proprio sostentamento, mentre molti altri paesi seguono regimi alimentari scorretti fatti di porzioni eccessive e alimenti combinati in maniera sbagliata che sono causa di insorgenza di sovrappeso e obesità.

Alla luce di queste considerazioni risulta evidente che la trasformazione del sistema alimentare debba essere radicale, urgente e indispensabile.

Per fare ciò la commissione si è concentrata su due aspetti fondamentali della filiera alimentare:

  • Consumo finale: identificare quale sia la dieta più idonea per mantenere lo stato di salute della popolazione

  • Produzione: identificare quali possano essere le modifiche da attuare alla filiera di produzione alimentare per renderla sostenibile

Il team, composto da oltre 30 tra i massimi esperti impegnati in diversi settori (salute umana, agricoltura, scienze politiche e sostenibilità ambientale) provenienti da tutto il mondo, ha lavorato per definire una dieta universale di riferimento per stimare gli effetti sulla salute e sull’ambiente derivati da una dieta alternativa, rispetto alle diete standard attuali spesso ad alto contenuto di alimenti trasformati e non sani.

Oltre ad avere effetti positivi sulla salute la dieta universale dovrà essere in grado di far fronte in maniera sostenibile alla forte crescita demografica prevista nei prossimi anni: le stime delle Nazioni Unite dicono infatti che entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà circa i 10 miliardi di persone.

I gruppi di lavoro della Commissione si sono interrogati su cinque temi fondamentali:

  • Che cos’è una dieta sana? Cioè una dieta basata su solide evidenze scientifiche che deve ottimizzare la salute, intesa non solo l’assenza di malattia ma come uno stato di benessere completo (fisico, mentale e sociale).
  • Cos’è un sistema alimentare sostenibile?
  • Quali sono le tendenze che danno forma alle diete oggi? Cioè cosa si trova effettivamente nei piatti delle persone nei diversi paesi del mondo.
  • Possiamo ottenere diete sane da sistemi alimentari sostenibili? Come?
  • Quali sono le soluzioni e le politiche che possiamo applicare? Una serie di linee guida che governi, imprese e consumatori dovrebbero seguire per raggiungere gli obiettivi in tema di salute e benessere del pianeta.

Il risultato è una dieta varia, con un apporto calorico giornaliero di 2500 kcal, che prende come modello base la dieta Mediterranea con alcuni aggiustamenti.

La dieta sana e “sostenibile” deve essere composta prevalentemente da una grande varietà di frutta, verdura e proteine di origine vegetale (frutta secca e legumi), ridotte quantità di alimenti di origine animale (quantità moderate di pesce e pollame, poca o nessuna quantità di carne rossa e carni lavorate), deve prediligere i grassi insaturi rispetto ai saturi e consumare quantità limitate di cereali raffinati, cibi altamente trasformati e zuccheri aggiunti.

Di seguito una tabella che riassume le indicazioni principali per una “dieta sostenibile”:

ALIMENTI Grammi Macronutrienti da assumere al giorno (possibile intervallo)

Apporto calorico (kcal) giornaliero

Cereali integrali 232 811
Tuberi o vegetali amidacei 50 (0-100) 39
Vegetali 300 (200-600) 78
Frutta 200 (100-300) 126
Prodotti lattiero-caseari 250 (0-500) 153
Carni rosse 14 (0-28) 30
Pollame 29 (0-58) 62
Uova 13 (0-25) 19
Pesce 28 (0-100) 40
Legumi 75 (0-100) 284
Frutta secca 50 (0-75) 291
Grassi insaturi 40 (20-80) 354
Grassi saturi 11.8 (0-11.8) 96
Zuccheri aggiunti 31 (0-31) 120

 

Questa trasformazione delle abitudini alimentari può verificarsi solo attraverso un’azione multisettoriale e multilivello che coinvolga tutta la filiera, dal produttore fino al consumatore finale.

I cambiamenti che devono essere attuati riguardano:

  • Un sostanziale spostamento delle abitudini alimentari verso schemi dietetici prettamente vegetali: una riduzione del 50% del consumo di carne e zucchero e un raddoppiamento dei consumi di frutta, verdura, frutta secca e legumi,

  • Una forte riduzione delle perdite alimentari e degli sprechi di cibo,

  • L’attuazione di importanti modifiche e miglioramenti nelle pratiche di produzione alimentare.

Il report si chiude con cinque strategie da attuare per rendere possibile la cosiddetta “Grande Trasformazione Alimentare”:

  1. E’ necessario che a livello nazionale ed internazionale ci si impegni nella promozione di un passaggio ad una dieta più sana.
  2. Ridefinire le priorità agricole: passare dalla produzione di grandi quantità di cibo alla produzione di cibo di qualità.
  3. Nuova rivoluzione agricola: aumentare in modo sostenibile la produzione di cibo di qualità, tramite l’innovazione dei sistemi.
  4. Amministrare in modo sostenibile, controllato e coordinato la terra e gli oceani, senza estendere ulteriormente i terreni adibiti all’agricoltura e sfruttare le risorse ittiche in maniera incontrollata.
  5. Dimezzare gli sprechi alimentari su tutti i livelli, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

I dati disponibili ad oggi sono già più che sufficienti per giustificare un’azione immediata; se non viene fatto nulla in proposito le generazioni future finiranno con l’ereditare un mondo gravemente degradato dove gran parte della popolazione soffrirà di malnutrizione e malattie prevenibili.

La Grande Trasformazione Alimentare è sia necessaria che realizzabile.

Euro Company si trova perfettamente in linea con i risultati emersi da questo studio: è indispensabile che l’intera industria alimentare si ponga come obiettivo quello di produrre alimenti più sani e  genuini e di farlo in maniera attenta e sostenibile

  • Ogni giorno infatti ci preoccupiamo che la nostra frutta secca e i nostri prodotti 100% vegetali siano buoni, il meno manipolati possibile e senza zuccheri aggiunti, mantenendo solo gli zuccheri naturali della frutta.
  • A livello produttivo acquistiamo energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e abbiamo ridotto del 15% le nostre emissioni di CO2.
  • In 2 anni abbiamo ridotto di 24 tonnellate di rifiuti da imballaggio e contiamo di rendere i nostri packaging 100% compostabili entro il 2020.

Ogni azienda e ogni individuo dovrebbe fare la sua parte in questo progetto ambizioso, per il bene nostro e del nostro pianeta.

Walter Willett, Johan Rockström, Brent Loken, Marco Springmann, Tim Lang, Sonja Vermeulen, Tara Garnett, David Tilman, Fabrice DeClerck, Amanda Wood, Malin Jonell, Michael Clark, Line J Gordon, Jessica Fanzo, Corinna Hawkes, Rami Zurayk, Juan A Rivera, Wim De Vries, Lindiwe Majele Sibanda, Ashkan Afshin, Abhishek Chaudhary, Mario Herrero, Rina Agustina, Francesco Branca, Anna Lartey, Shenggen Fan, Beatrice Crona, Elizabeth Fox, Victoria Bignet, Max Troell, Therese Lindahl, Sudhvir Singh, Sarah E Cornell, K Srinath Reddy, Sunita Narain, Sania Nishtar, Christopher J L Murray; Food in the Anthropocene: the EAT–Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems; The Lancet Commissions; January 16, 2019.