Da Euro Company 4.000 conserve di frutta donate alla Fondazione Banco Alimentare Emilia Romagna

Trasformare lo spreco in risorsa: con Rifrutta, materie prime eccellenti – che le logiche del mercato avrebbero scartato – diventano conserve di frutta uniche e di altissima qualità.

Come Società Benefit e azienda certificata B Corp, Euro Company è impegnata nel diffondere e condividere attività e iniziative che portino un beneficio tangibile e abbiano un impatto positivo sulle persone e sul pianeta. L’azienda di frutta secca ed essiccata di Godo di Russi ha infatti dedicato ai valori di sostenibilità economica, sociale e ambientale, il recente progetto “Rifrutta – la conserva che non spreca” che segue la regola delle 3R dell’economia circolare: riduco, riutilizzo, riciclo.

Euro Company ha dato vita a due prodotti unici: le conserve di frutta essiccata in vasetto da 250 grammi. Grazie all’incontro con un piccolo produttore del forlivese è stata data nuova forma a due materie prime qualitativamente straordinarie e che tuttavia sarebbero rimaste inutilizzate. Ecco allora che attraverso un’accurata lavorazione artigianale di arance e prugne essiccate che ne ha rinnovato il ciclo di vita, sono nate le preziose conserve Rifrutta: Arance Caramellate e Prugne Sciroppate. Prodotti di eccellente qualità, pensati appositamente per essere donati in esclusiva alla Fondazione Banco Alimentare Emilia-Romagna Onlus e a tutti i collaboratori di Euro Company.

Oltre una tonnellata di materia prima coinvolta nel progetto, tra arance, prugne essiccate e zucchero di foresta biologico (un dolcificante naturale che si ricava dalla linfa dell’albero di palma Arenga Pinnata), per dare vita alla produzione di oltre 5.000 vasetti di conserve. Di queste, circa 4.000, donati nei giorni scorsi alla Fondazione Banco Alimentare Emilia Romagna Onlus, per un valore di oltre 25.000 euro. Proprio perché pensate appositamente per la Fondazione, le conserve Rifrutta non sono destinate alla vendita al pubblico.

Secondo la FAO (https://www.fao.org/news/story/it/item/1441736/icode/), quasi 1/3 del cibo prodotto per il consumo umano viene sprecato ogni anno; di questi, circa il 14% viene perduto tra il momento della raccolta e quello della vendita al dettaglio. E questo spreco ha un’incidenza importante anche sulle emissioni di gas a effetto serra, proprio perché si sperperano energie per produrre alimenti che non verranno mai consumati, con conseguenze che si ripercuotono su società e ambiente.

«Contrastare questo fenomeno vuol dire fare un passo avanti per sconfiggere la fame nel mondo, migliorare la nutrizione, favorire un’agricoltura sostenibile. E ognuno di noi può fare la differenza. Vogliamo dare il nostro contributo per fermare questo spreco di risorse e di cibo – spiega Mario Zani, Direttore Generale di Euro Company –: è un nostro dovere in quanto azienda alimentare e scegliamo di farlo con questo ambizioso progetto. Le buone intenzioni, infatti, non bastano più: rispettare il pianeta significa agire concretamente e quotidianamente contro tutti gli sprechi».

Stefano Dalmonte, Presidente della Fondazione Banco Alimentare Emilia Romagna Onlus, dichiara: “Ringraziamo Euro Company per la donazione delle conserve, così preziose, che abbiamo già iniziato a distribuire. Il Banco Alimentare dell’Emilia Romagna da trent’anni recupera generi alimentari e li distribuisce ad una rete di 750 organizzazioni convenzionate che si occupano di assistenza a persone in difficoltà. Solo l’anno scorso sono stati donati su base regionale alimenti per 20 milioni di pasti gratuiti. Siamo molto lieti di poter collaborare con aziende come Euro Company: la partnership avviata rispetta perfettamente gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e ci auguriamo che questo tipo di collaborazione, così preziosa, possa essere di stimolo ad altre realtà, per continuare il nostro percorso sulla strada della sostenibilità e dell’economia circolare basata sul dono”.

 

Attenzione al sale “nascosto”

È ormai risaputo un consumo eccessivo e prolungato di sale (il cui nome scientifico è cloruro di sodio) rappresenti un fattore di rischio per moltissime patologie, come l’ipertensione arteriosa e conseguenti danni al sistema cardiocircolatorio, cancro allo stomaco ed eccessiva escrezione di calcio tramite le urine, che sul lungo termine porta all’insorgenza di osteoporosi.

Il sapore e gli effetti sulla salute dati dal consumo di sale sono da imputare prevalentemente al sodio in esso contenuto: 1 g di sale infatti contiene 0,4 g di sodio.

Nonostante il sale abbia giocato per secoli un ruolo fondamentale nella sopravvivenza ed evoluzione della razza umana (basti pensare alla conservazione dei cibi), l’essere umano in condizioni fisiologiche non ha nessuna necessità di integrare sodio.

Il nostro fabbisogno giornaliero di sodio è, infatti, 0,1-0,6 g, sostanzialmente quello contenuto in un 1 g di sale (la punta di un cucchiaino) che, tuttavia, corrisponde a quello già naturalmente contenuto negli alimenti.

Di conseguenza, tranne in condizioni particolari come estrema sudorazione o in caso di patologie che comportano elevata perdita di liquidi o escrezione di sodio, aggiungere sale agli alimenti non serve se non per dargli più gusto e sapore.

Eppure, ogni giorno assumiamo circa dieci volte la quantità di sale di cui avremmo bisogno: si stima che un adulto italiano mediamente assuma ogni giorno circa 9 g di sale, gli uomini ne consumano più delle donne (10 g contro 8 g al giorno).

E a livello globale la situazione non è migliore: si stima infatti che la maggior parte degli adulti consumi tra gli 8 e i 15 g di sale al giorno.

È stato stimato che la quantità di sale che dovrebbe essere consumata per avere il giusto compromesso tra soddisfazione del gusto e prevenzione dei rischi per la salute sia di 5 g/die, che corrisponde a circa un cucchiaino da tè (4 g/die per gli anziani, in quanto categoria già di per sé più a rischio di patologie a carico del sistema cardiovascolare e di ipertensione).

Per sensibilizzare i consumatori sull’eccessivo consumo di sale, si è tenuta anche quest’anno, tra il 9 e il 15 marzo, la settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale, promossa dal World Action on Salt & Health. Il tema era il sale “nascosto” negli alimenti: l’industria alimentare, infatti, “nasconde” spesso moltissimo sale negli alimenti disponibili sul mercato.

Si stima che le fonti di sodio nella nostra alimentazione siano così suddivise:

  • 35% della quota che assumiamo è dovuto al sale che aggiungiamo nelle preparazioni casalinghe e direttamente a tavola;

  • 50% di questa quota è dovuto al sale presente all’interno dei prodotti confezionati e trasformati, sia artigianali che industriali;

  • 15% è invece rappresentato dal sodio naturalmente contenuto negli alimenti.

Risulta evidente, quindi, che i prodotti trasformati giochino un ruolo fondamentale nell’eccesso di sodio nella nostra alimentazione quotidiana ed è questo il motivo principale per cui l’attuale regolamento UE prevede l’indicazione obbligatoria, fra le indicazioni nutrizionali in etichetta, della quantità di sale contenuta in un prodotto, sia su 100 g di prodotto che su unità di consumo.

Imparando a leggere bene le etichette nutrizionali dovrebbe essere quindi possibile capire quanto sale si sta effettivamente assumendo, scegliendo di consumare un determinato alimento piuttosto che un altro.

Resta evidente che in questo modo la responsabilità di fare le scelte giuste per seguire uno stile di vita più sano ricade comunque direttamente solo sui consumatori: se con un po’ di sforzo risulta abbastanza semplice dosare e contenere il sale impiegato nelle preparazioni domestiche, più difficile è invece identificare quanto sale si sta assumendo consumando prodotti confezionati o mangiando fuori casa.

I consumatori sono costretti a cercare fra una moltitudine di opzioni quelle a più basso contenuto di sale e non è sempre facile per tutti leggere, capire e confrontare le varie etichette dei prodotti.

Lo stesso problema si presenta quando si mangia fuori casa: è infatti impossibile conoscere la quantità di sale aggiunta nei piatti perché, non trattandosi di un processo industrializzato e meccanizzato, gli chef aggiungono un diverso quantitativo di condimento ogni volta che cucinano un piatto.

Sono ormai disponibili da tempo le Linee guida per una sana alimentazione rilasciate dal CREA (Centro di ricerca alimenti e nutrizione) all’interno delle quali è presente un intero capitolo dedicato al sale, al suo consumo e a come limitarne l’impiego per prevenire il rischio di insorgenza di patologie croniche dal titolo Il sale? Meno è meglio, ma ovviamente questo non è sufficiente.

Per questo motivo il ministero della Salute ha lanciato, all’interno del programma Guadagnare Salute, alcune iniziative per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di diminuire il consumo e l’impiego di sale.

Queste iniziative non sono più rivolte solo ai consumatori, ma coinvolgono in prima linea i produttori; fra queste sono infatti in atto collaborazioni con aziende e associazioni di categoria per ridurre gradualmente il contenuto di sodio nel pane artigianale e industriale, negli gnocchi confezionati, in primi piatti pronti, zuppe e passati di verdura surgelati e molti altri.

Queste iniziative, insieme a quelle promosse direttamente dalla World Action on Salt & Health, si inseriscono nel piano d’azione globale dell’OMS per la prevenzione delle malattie non trasmissibili, che prevede una riduzione globale del consumo di sale del 30% entro il 2025.

Fonti e approfondimenti:

www.crea.gov.it/web/alimenti-e-nutrizione/-/linee-guida-per-una-sana-alimentazione-2018

https://ilfattoalimentare.it/settimana-mondiale-sale-2020.html

http://www.worldactiononsalt.com/awarenessweek/

www.epicentro.iss.it/guadagnare-salute/programma/

 

 

Dieta chetogenica: sì o no? Fra mito e realtà.

La maggior parte delle persone, soprattutto nel mese di gennaio, inizia una dieta: chi per perdere quei due-tre chili di troppo accumulati durante le feste, chi perché da tempo ha deciso di intraprendere un percorso atto a raggiungere il proprio peso forma e chi perché ha inserito il “rimettersi in forma” fra i buoni propositi per il 2020.

È quindi abbastanza normale che i media siano tempestati di diete detox e soluzioni miracolose, soprattutto considerando quanto sia difficile perdere peso e quanto sia complesso il percorso di una persona che decidere di seguire una dieta.

Spesso, infatti, i regimi dietetici sono molto rigidi e alcuni regimi alimentari “vecchio stile” non tengono in considerazioni i gusti del paziente, obbligandolo a consumare alimenti che non sono di suo gradimento, e soprattutto non sempre si riesce a mantenere il peso perso nel corso del tempo.

Negli ultimi anni un regime alimentare che ha riscosso molto interesse e di cui si sente parlare sempre più spesso è il low carb, cioè la cosiddetta cheto-dieta o dieta chetogenica.

Si definisce dieta chetogenica “un regime alimentare che fornisce in genere meno di 800 kcal/die e con un apporto di carboidrati compreso fra i 20 e i 50g/die”. Significa quindi che dal 60 al 90% dell’energia per l’organismo viene assunta sotto forma soprattutto di grassi e di proteine.

Questo tipo di dieta induce nell’organismo quello che viene definito uno stato di “chetosi”, cioè il corpo smette di utilizzare gli zuccheri come fonte di energia e, mentre il resto dell’organismo inizia a sfruttare le riserve di grasso, il sistema nervoso inizia ad impiegare i corpi chetonici prodotti dal metabolismo come fonte di energia.

In origine questa dieta era stata ideata, con successo, come trattamento per alcune forme di epilessia resistente ai farmaci e come trattamento per gravi obesi che non riuscivano a perdere peso seguendo un regime ipocalorico bilanciato; dato che porta buoni risultati anche in termini di calo ponderale rapido, oggi viene adottata in maniera indiscriminata da molte persone normopeso come dieta atta al dimagrimento.

Nel momento in cui si decide di adottare un regime alimentare di tipo chetogenico sicuramente la prima cosa che si nota è effettivamente un calo di peso molto rapido.

Questa riduzione è dovuta principalmente ad una perdita di liquidi legata alla variazione metabolica che questa dieta induce nell’organismo. Inoltre, diversamente da molte diete dimagranti ipocaloriche, la dieta chetogenica non causa “senso di fame” grazie all’assunzione di grassi che prolungano il senso di sazietà.

In seguito a queste considerazioni è facile capire come mai questo regime alimentare abbia riscosso così tanto successo e come mai sembra essere così ben tollerato dai più. Perdere peso senza contemporaneamente patire la fame il tutto in un’unica dieta, cosa si può volere di più?

In realtà, come per la maggior parte delle cose, c’è un rovescio della medaglia: molti ignorano il fatto che un regime alimentare di questo tipo adottato in maniera non bilanciata, non controllata e protratto sul lungo periodo, può causare danni ai reni, all’apparato circolatorio e a gravi carenze nutrizionali.

Come sottolinea, in un’intervista sul Fatto Alimentare, la dottoressa Lucilla Titta (nutrizionista e ricercatrice dello IEO – istituto oncologico europeo) le diete chetogeniche prevedono un massiccio consumo di alimenti di origine animale: questo, oltre ad avere un impatto negativo dal punto di vista ambientale, riduce considerevolmente il consumo di frutta, verdura e cereali integrali con conseguente scarso apporto di fibra, minerali e vitamine.

Spesso anche il consumo di latticini è scarso e ridotto solo a yogurt e latte magro, questo aumenta il rischio di patologie legate al sistema scheletrico.

Un altro aspetto da tenere in considerazione, e che viene spesso ignorato, è l’impatto psicologico che questa dieta può avere su alcuni pazienti. Si è visto infatti che per alcuni utenti più fragili, protrarre una dieta chetogenica per diverso tempo è molto pesante da tollerare: i pazienti, dopo un’alternanza di periodi di totale assenza di carboidrati e periodi di improvvise abbuffate, iniziano a considerare i carboidrati un cibo cattivo inducendo un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire.

Nonostante questo, però la letteratura scientifica relativa agli effetti collaterali delle diete chetogeniche bilanciate è ad oggi ancora insufficiente. Se si decide di seguire un regime low carb con lo scopo di perdere peso, e in assenza di patologie particolari, è necessario applicarlo con parsimonia, farsi seguire da uno specialista e adottarlo per periodi di tempo limitati. Il paziente va preventivamente valutato dal punto di vista clinico e dovrebbe essere seguito attentamente durante tutto il corso della dieta.

Relativamente all’aspetto psicologico le diete chetogeniche “fai da te” (quindi attuate in maniera sconsiderata, senza l’ausilio di uno specialista e affidandosi a diete standardizzate o indicazioni trovate su internet) possono considerarsi al limite del diseducativo: non insegnano nulla sul gestire in maniera bilanciata la propria alimentazione ed infatti, nonostante nel modello di dieta chetogenica corretto i carboidrati debbano essere reintrodotti nel corso del tempo, capita che negli utenti rimanga insita l’idea che i carboidrati siano nutrienti dannosi, da evitare, e questo porta ad un regime low carb protratto ad oltranza.

Inoltre, come non esistono evidenze certe della dannosità della cheto-dieta, non esistono nemmeno prove sufficienti che i risultati ottenuti seguendo un regime alimentare low carb siano migliori e più duraturi rispetto a quelli raggiunti con una normale dieta bilanciata.

Per utilizzare le parole della dottoressa Titta “le conoscenze attuali non giustificano l’idea che le diete low carb siano più efficaci di altri regimi per perdere peso, e tanto meno che permettano di stabilizzarsi sul peso desiderato”.

Per riuscire a perdere peso in modo duraturo è più utile seguire un regime ipocalorico in cui però siano rappresentati tutti i diversi nutrienti: carboidrati, grassi e proteine.

Se si impara a mangiare correttamente e si associa alla sana alimentazione un adeguato livello di attività fisica, questo dovrebbe diventare lo stile di vita corretto da seguire in maniera continuativa e stabile per tutta la vita, evitando così di andare incontro a carenze nutrizionali e godendosi allo stesso tempo i piaceri gastronomici.

Fonti e approfondimenti:

https://ilfattoalimentare.it/dieta-chetogenica-terapia-moda.html

https://ilfattoalimentare.it/diete-low-carb.html

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/epilessia-in-quali-casi-puo-essere-utile-la-dieta-chetogenica

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/lesperto-risponde/dieta-chetogenica-di-cosa-si-tratta

https://www.mauriziotommasini.it/dieta-chetogenica/

 

 

Net Zero 2030, l’impegno di Euro Company

Il riscaldamento globale è in atto qui ed ora e nessuno di noi può più voltarsi dall’altra parte.

Il nostro pianeta è già più caldo di 1,1°C, con un impatto significativo sul pianeta e sulle vite delle persone. Se questa tendenza dovesse perpetuarsi nel tempo, in questo secolo le temperature globali potrebbero già aumentare dai 3,4°C ai 3,9°C, causando effetti climatici importanti su larga scala.

Questo è il tema al centro della COP25, la Conferenza sul cambiamento climatico, organizzata dalle Nazioni Unite che si è tenuta a Madrid dal 2 al 13 dicembre 2019.

Come Euro Company riconosciamo questa crisi come una minaccia concreta per aziende e mercati sani e come esseri umani, riconosciamo questa crisi come una minaccia alla nostra qualità di vita, a quella dei nostri figli e dei figli dei nostri figli.

Riteniamo che le aziende debbano giocare un ruolo fondamentale per ciò che riguarda l’abbattimento delle emissioni, la riduzione del carbonio e il garantire una giusta transizione verso un’economia netta ad emissioni zero.

Inoltre, reputiamo indispensabile che il mondo dell’industria faccia sentire la sua voce in maniera collettiva per supportare i cambiamenti necessari a rimuovere gli impedimenti e allineare gli obiettivi che guideranno azioni significative sul clima.

Il movimento B Corporation deve svolgere un ruolo di leadership in questo ambizioso progetto.

Per questo noi di Euro Company, assieme a più di 500 realtà certificate B Corp distribuite nel mondo, in occasione della COP25 ci siamo riuniti a Madrid annunciando pubblicamente una Dichiarazione di interdipendenza, la Net Zero 2030, con la convinzione condivisa, “che tutti gli affari debbano essere condotti tenendo conto di persone e luoghi […] e quindi considerarsi responsabili ognuno per gli altri e per le generazioni future“.

Con la Net Zero 2030 le realtà B Corps si impegnano:

  • A condurre affari tenendo conto dell’ambiente e di tutti gli stakeholder, non solo degli azionisti;

  • Ad accelerare la riduzione delle emissioni di gas serra, per contenere l’aumento medio delle temperature globali al di sotto della soglia degli 1,5 gradi;

  • A sottolineare l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2030.

L’impegno per una significativa riduzione delle emissioni che deve portare entro il 2030, quindi ben 20 anni prima rispetto all’obiettivo stabilito nell’Accordo di Parigi per il 2050, ad un futuro fatto di emissioni pari a zero fa sì che questa climate action sia la più rapida azione mai intrapresa da un numero così ampio di imprese a livello mondiale.

Al mondo siamo oltre 3.000 società B Corps, provenienti da più di 70 paesi e attive in 150 settori. Siamo convinti che ognuno debba fare la sua parte, il cambiamento deve partire da noi, dalle nostre risorse e dal nostro impegno.

Facciamo leva sull’influenza delle aziende nella risoluzione delle principali sfide sociali e ambientali che il pianeta attualmente è costretto ad affrontare, ma se l’impegno non è collettivo i risultati rimangono deludenti.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU sono coerenti con i nostri ideali, fanno parte di noi, della nostra vision e rispecchiano la nostra idea di qualità etica.

Siamo onoranti di aver avuto la possibilità di compiere questo nuovo passo in direzione di un futuro più sostenibile e orgogliosi di rinnovare ogni giorno il nostro impegno a lavorare costantemente per fare sì che l’obiettivo venga raggiunto.

Perché non basta più parlare di riscaldamento globale, ora è il momento di agire!

Antibiotico-resistenza: in Italia più morti degli incidenti stradali.

In occasione dello European Antibiotic Awareness Day, tenutasi il 18 novembre, e della Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici (World Antibiotic Awareness Week), dal 18 al 24 novembre, si sono accesi i riflettori su un argomento troppo spesso ignorato: l’antibiotico-resistenza, che nel nostro paese si sta trasformando in un grave problema di salute pubblica.

I dati raccolti nel 2018 e forniti, in occasione di queste giornate, dall’Istituto Superiore di Sanità sono allarmanti: infatti, mentre in Europa il tasso di antibiotico resistenza è in calo, in Italia il numero delle morti imputabili alla resistenza di alcuni ceppi batterici agli antibiotici è il triplo di quelle dovute ad incidenti stradali. Questi valori collocano l’Italia in cima alla classifica dei paesi con il più alto tasso di antibiotico-resistenza d’Europa, su 33.000 decessi che avvengono in UE per antibiotico-resistenza infatti oltre 10.000 si registrano nel nostro Paese.

Ma che cos’è esattamente l’antibiotico-resistenza?

Gli antimicrobici, comunemente chiamati antibiotici, sono farmaci utilizzati per distruggere i batteri patogeni o per impedirne la crescita e la diffusione.

Questo tipo di farmaci viene utilizzato nel trattamento sia degli umani che degli animali, in particolare negli allevamenti, per curare le malattie dovute ad infezioni batteriche.

L’impiego massiccio di antibiotici ha fatto sì che alcuni batteri patogeni, nel tempo, acquisissero e sviluppassero meccanismi di difesa che gli permettono di sopravvivere e moltiplicarsi anche in presenza di farmaci e questo fenomeno prende il nome di antibiotico-resistenza.

I meccanismi di difesa sono “scritti” e codificati in specifici geni trasmissibili da un batterio all’altro.

Il fenomeno della resistenza inoltre non riguarda solo i patogeni, ma anche i cosiddetti batteri commensali (quelli che vivono sulla nostra pelle, nelle mucose e nell’intestino) che amplificano la diffusione dei geni della resistenza poiché possono scambiare materiale genico anche con batteri di ceppi diversi.

Questi “scambi” fanno sì che, con il tempo, alcuni ceppi batterici acquisiscano un vero e proprio “arsenale” di geni difensivi la cui espressione rende sempre più scarsa l’efficacia degli attuali farmaci antibiotici disponibili.

A volte si instaura anche un fenomeno di multi-resistenza e ciò accade quando lo stesso batterio non è resistente ad una sola tipologia di antibiotici, ma a molti (almeno tre). Questo favorisce ulteriormente l’aumento e la diffusione delle infezioni rendendo contemporaneamente molto più difficile combatterle.

Ma quali sono le cause alla base della proliferazione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici?

L’abuso, l’auto-prescrizione, le prescrizioni massicce e, a volte, superflue, il non seguire le indicazioni del medico, le terapie “fai da te” e la difficoltà di controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria sono tra le principali cause dello sviluppo dell’antibiotico-resistenza.

L’eccessivo uso di antibiotici non è una problematica che coinvolge solo il settore della medicina umana. La somministrazione di antibiotici agli animali da allevamento (polli, tacchini e suini in particolare), per evitare la comparsa di malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi, è anch’essa causa della diffusione.

Spesso gli antibiotici impiegati per curare e prevenire le infezioni batteriche negli animali appartengono alle stesse classi di quelli usati per l’uomo ed è quindi possibile che i batteri resistenti sviluppatisi negli animali siano trasmessi agli esseri umani attraverso il cibo contaminato.

Per prevenire lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza ed evitare di infettarsi con batteri resistenti è fondamentale seguire alcune semplici regole:

  1. Non chiedere antibiotici al proprio medico di famiglia se questo/a non li ha prescritti,

  2. Seguire esclusivamente le indicazioni del medico,

  3. Completare l’intero ciclo di cura,

  4. Non prendere antibiotici di propria iniziativa senza prescrizione,

  5. Non prendere mai gli antibiotici prescritti per un’altra persona,

  6. Fare attenzione all’igiene: lavarsi spesso le mani con acqua e sapone, soprattutto dopo aver usato il bagno, prima di mangiare, prima di preparare i cibi e dopo la manipolazione di carni crude,

  7. I prodotti alimentari di origine animale sono spesso contaminati da batteri e possono costituire una via di trasmissione anche di batteri antibiotico-resistenti,

  8. La frutta e la verdura, se venute a contatto con rifiuti animali o acqua contaminata, possono essere una via di trasmissione ed è quindi importante lavarle sempre bene e mantenere le superfici di lavoro della cucina pulite.

Seguire queste semplici regole può contribuire sia ad evitare di entrare in contatto con batteri potenzialmente patogeni sia di ostacolare lo sviluppo di antibiotico-resistenze.

Se tutti, cittadini, medici e allevatori, si impegnassero a ridurre l’impiego di antibiotici quando non necessari il tasso di sviluppo di ceppi batteri antibiotico-resistenti e delle conseguenti infezioni si ridurrebbe in maniera significativa.

Fonti e approfondimenti:

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/a/antibiotico-resistenza#conseguenze-dell%E2%80%99antibiotico-resistenza

https://www.ilsole24ore.com/art/abuso-antibiotici-10mila-morti-anno-italia-triplo-incidenti-stradali-AC6RW1z?fromSearch

 

Aziende migliori per il mondo: il movimento B Corp

“Noi abbiamo un sogno: che un giorno tutte le aziende competano non solo per essere le migliori al mondo, ma per essere le migliori per il mondo”.

Da anni abbiamo fra i nostri obiettivi quello di diventare un punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati a perseguire uno scopo più elevato del semplice interesse personale, subordinandolo al benessere della società e del pianeta.

Siamo partiti a novembre 2018 diventando Società Benefit, una nuova forma giuridica introdotta in Italia nel 2016: per onorare questo impegno ogni giorno abbiamo affiancato al profitto quei valori per noi imprescindibili e che da sempre guidano le nostre scelte, quelle che ci permettono di avere un impatto positivo sui nostri dipendenti, sui consumatori e i fornitori, sull’intera comunità e sull’ambiente.

Grazie all’impegno collettivo di tutti i reparti siamo riusciti a completare gli obiettivi che ci eravamo prefissati e questo ci ha permesso, ad ottobre 2019, di diventare ufficialmente un’azienda B Corp. Le imprese che aderiscono a questo movimento globale soddisfano i più alti standard al mondo di performance sociale, ambientale ed economica e si impegnano usare il business come forza positiva.

Le aziende B Corp (o B Corporation) sono ormai più di 2500 nel mondo, presenti in 140 settori e distribuite in 60 Paesi, solo in Italia siamo più di 80.

Stiamo riscrivendo il modo di fare impresa lavorando in maniera responsabile, sostenibile e trasparente, perseguendo uno scopo più alto del solo guadagno, facendo in modo che l’attività economica abbia un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente.

L’obiettivo del movimento B Corp è quello di ridefinire un nuovo paradigma di business adeguato ai nostri tempi, concreto e replicabile.

Per noi di EuroCompany, l’etica non è solo ciò in cui crediamo, ma l’unica via possibile per mettere in pratica le nostre visioni, le nostre posizioni e le nostre scelte.

Scoprite di più sulle B Corp nel video:

Fonti e approfondimenti:

https://bcorporation.eu/about-b-lab/country-partner/italy

https://nativalab.com/bcorp-italian-summit/The-B-Book.pdf

Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2019

Nel 2019 esistono ancora paesi in cui quasi il 50% della popolazione, soprattutto bambini, vive in condizioni di denutrizione. Sono più di 820 milioni nel mondo le persone che non hanno accesso a cibo di qualità e ad una dieta equilibrata, indispensabile per la normale crescita, sviluppo e mantenimento di tutto l’organismo.

Al contrario, mentre nei paesi in via di sviluppo le persone faticano ogni giorno per racimolare una quantità di cibo sufficiente alla sopravvivenza, nei paesi occidentali l’obesità infantile dilaga raggiungendo livelli allarmanti diventando ogni giorno un problema sempre più rilevante di sanità pubblica. Basti pensare che, solo nel nostro paese, la percentuale di bambini malnutriti e sovrappeso fra i 5 e i 19 anni è del 36,8%, (un aumento del 39,1% rispetto a dieci anni fa). Allo stesso tempo circa il 14% di tutto il cibo prodotto nel mondo viene gettato ancora prima di raggiungere lo scaffale dei punti vendita a causa di problematiche che insorgono nelle fasi produttive, di trasporto e di stoccaggio.

Alimentazione squilibrata e spreco alimentare sono solo alcuni dei temi che vengono trattati oggi, 16 ottobre, nella giornata mondiale dell’alimentazione.

Istituita come ricorrenza per celebrare la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – FAO (16 ottobre 1945), nel corso degli anni ha coinvolto più di 150 paesi nel mondo trasformandola, da semplice anniversario, in una vera e propria giornata dedicata alla sensibilizzazione su problematiche che affliggono la nostra società: povertà, fame, denutrizione e malnutrizione, ma anche sicurezza e legislazione alimentare, sostenibilità ambientale delle produzioni, food waste e alimentazione equilibrata.

La diffusione di diete nutrienti, equilibrate e sostenibili per tutti rappresenta il tema cruciale di questa giornata: la cura dell’alimentazione è la prima forma di prevenzione nei confronti di molte patologie croniche come diabete, ipertensione, sindrome metabolica, obesità e anche diverse forme tumorali.

Allo stesso tempo limitare gli sprechi e fare in modo che la produzione alimentare sia sostenibile per il pianeta e accessibile a tutti è un impegno da cui nessun paese può più sottrarsi ed è proprio questo il tema della giornata mondiale dell’alimentazione 2019.

Il progetto è grande ed ambizioso, per questo è indispensabile che la società venga coinvolta su tutti i livelli: dai governi all’intera filiera produttiva, fino al consumatore finale.

Ognuno infatti, nel suo piccolo, può contribuire al raggiungimento dell’impegno fissato per l’Agenda 2030 e a questo scopo la FAO ha condiviso sul suo sito un elenco di linee guida da applicare nel quotidiano per iniziare a fare del bene a noi stessi e al mondo:

  1. Scelte dietetiche:
  • Segui le linee guida per una sana alimentazione del tuo paese, forniscono consigli su come assicurarti di assumere abbastanza nutrienti per vivere una vita in salute.
  • Aggiungi verdure, frutta, legumi, noci e cereali integrali alla tua dieta: oltre che essere benefici per il nostro organismo sono anche migliori per il pianeta!
  • Tagliare su amidi raffinati, zucchero, grassi e sale: in generale riduci il consumo di alimenti ultra-trasformati e di derivati animali, ne beneficerà il tuo corpo e anche il pianeta.
  • Scambia cibi raffinati con opzioni “integrali” più ricchi di nutrienti.
  • Conosci i tuoi grassi: sostituisci i grassi saturi con i grassi insaturi ed evita il consumo di grassi trans, presenti soprattutto in prodotti confezionati.
  1. Scelte del pianeta:
  • Riduci la tua impronta alimentare: l’impatto ambientale dei cibi che mangiamo varia da prodotto a prodotto. Alcuni alimenti richiedono l’impiego di molte più risorse naturali, come l’acqua, per la loro produzione rispetto ad altri. Le produzioni animali, ad esempio, impiegano molte più risorse rispetto a quelle necessarie per le produzioni vegetali.
  • Evita di acquistare alimenti con quantità eccessive di imballaggio, utilizza contenitori e sacchetti riutilizzabili.
  • Diversifica la tua dieta: favorisci i prodotti tradizionali, locali e stagionali, sostieni la biodiversità della tua area geografica!
  • Mangia pesce di provenienza sostenibile: il pesce è un’ottima fonte di proteine e omega-3, ma è bene prediligere pesci derivati da pesca locale e, se si sceglie di consumare pesce di allevamento, assicurarti che derivi da allevamenti eco-sostenibili e che esibisca un certificato di qualità.
  • Conservare e sprecare meno: evita di sprecare il cibo, acquista solo quello che ti serve e se avanza del cibo non gettarlo, ma conservalo in frigo o in freezer e riutilizzalo. Leggi bene le indicazioni per la conservazione e la scadenza e utilizza contenitori ermetici e riutilizzabili per conservare gli avanzi.
  1. Scelte di vita:
  • Mangia in compagnia e cucina a casa. Fa bene alla salute e all’umore!
  • Impara a leggere le etichette: sono la carta d’identità dell’alimento e danno indicazioni su energia, nutrienti, ingredienti, conservazione e scadenza. Saperle leggere ci può aiutare a fare delle scelte più consapevoli e a sprecare di meno.
  • Non lasciarti influenzare dagli imballaggi o dalla pubblicità.
  • Fai attività fisica per almeno 30 minuti, ogni giorno.
  • Richiedi pasti e snack più salutari: nelle mense (sia scolastiche che aziendali) e nei distributori automatici chiedi che siano forniti prodotti salutari e nutrienti.
  • Parla alle persone, condividi le tue conoscenze e la tua passione per il cibo: il cibo connette tutti!

“Fame Zero va oltre la fame, significa garantire cibo nutriente per tutti dovunque, è necessario intervenire affinché un’alimentazione sana sia disponibile per tutti. Le nostre azioni sono il nostro futuro!

 

#ZeroHunger

#FameZero

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.fao.org/sustainable-development-goals/goals/goal-2/en/

http://www.fao.org/3/ca5268it/ca5268it.pdf

www.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/italia_bambini_obesi_unicef-238581950/

https://www.focus.it/comportamento/economia/giornata-mondiale-alimentazione-fao-perdite-mondiali-di-cibo

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2019/10/15/domani-giornata-mondiale-alimentazione-obiettivo-fame-zero_cfb09ea8-1660-4247-9d50-3c00cdf8acdf.html

 

 

 

La Casa Del Fermentino al SANA 2019

Si è appena concluso il Sana 2019il salone internazionale del biologico e del naturale, manifestazione leader del settore in Italia che si è svolta a Bologna dal 6 al 9 settembre.

Un appuntamento importante che, con i suoi oltre mille espositori, rappresenta la vetrina più importante per scoprire tutte le novità di mercato.

In linea con la filosofia della fiera bolognese, l’azienda ha presentato la propria gamma di fermentini, biologici e 100% vegetali, ottenuti dalla fermentazione di frutta secca con la sola aggiunta di acqua, sale e spezie naturali.

In particolare ai partecipanti alla fiera è stata data la possibilità di assaggiare in anteprima assoluta due nuovi prodotti: Camelia e Grattino.

  • Camelia il fermentino a crosta fiorita – è realizzato attraverso la fermentazione di anacardi e noci di macadamia. Un’equilibrata sintesi tra il gusto delle materie prime e i sapori che nascono durante la fase di fermentazione grazie all’azione del Penicillium Candidum. Camelia racchiude in sé la dolcezza e la delicatezza della frutta secca, il tocco fresco e acidulo tipico della fermentazione e gli aromi caratteristici dei prodotti a crosta fiorita.

  • Grattinoil fermentino grattugiato – fatto con anacardi, noci di macadamia, pepe nero e noce moscata, è un fermentino già grattugiato e ideale per condire tutti i tipi di pasta.

Nella cucina della “Casa del Fermentino” lo chef Tomas Marfella ha realizzato show cooking con ricette gustose e originali che avevano come protagonisti assoluti i fermentini e oltre 4000 persone hanno avuto la possibilità di assaggiarli e imparare a conoscerne il gusto unico.

L’entusiasmo con cui il pubblico del Sana ha accolto il progetto ci rende fieri e orgogliosi del lavoro che stiamo facendo ed è il motore che ci spinge ogni giorno a crescere e migliorare per far sì che i fermentini entrino a far parte delle scelte alimentari di tutti coloro che, come noi, scelgono di seguire un stile di vita sano e sostenibile.

 

 

 

 

La guerra allo spreco alimentare inizia dalla spesa

Ogni anno nel mondo vengono sprecate circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, di cui l’80% ancora commestibile.

Lo spreco alimentare viene definito dalla Commissione Europea come:

“L’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinati al consumo umano – sono destinati ad essere eliminati o smaltiti”.

Complessivamente circa 1/3 della produzione mondiale di cibo destinato al consumo umano viene cestinato e solo nei paesi industrializzati lo spreco annuo di cibo è di circa 200 milioni di tonnellate (90 milioni solo in Europa).

A rendere inaccettabili queste cifre è il fatto che nel mondo, soprattutto nei paesi sottosviluppati, sono milioni le persone che soffrono la fame: tutto il cibo che viene gettato, infatti, sarebbe più che sufficiente per sfamare circa 2 miliardi di persone.

Come se non bastasse questo enorme spreco ha dei costi monetari non indifferenti: ogni anno infatti lo spreco alimentare costa al mondo 1.000 miliardi di dollari, che salgono a 2.600 miliardi se si considerano anche tutti i cosiddetti “costi nascosti” (ad esempio acqua e impatto ambientale). 

Il rapporto Waste Watcher (dati 2015) ha quantificato l’impatto che le diverse fasi di produzione, vendita e consumo dei prodotti alimentari hanno sullo spreco a livello nazionale:

  • il 32% del cibo si perde nella fase di produzione (fasi di coltivazione o allevamento della materia prima)
  • il 22% si spreca nelle fasi successive alla raccolta e nello stoccaggio
  • l’11% va perso durante la lavorazione industriale (trasformazione, scarto e invenduto)
  • il 22% è lo spreco domestico
  • il 13% si spreca durante la distribuzione e nella ristorazione

Com’è possibile notare la maggior parte degli alimenti viene persa già durante le prime fasi produttive, ma nonostante questo lo spreco domestico ha comunque un peso decisamente rilevante sul bilancio finale.

Secondo l’Osservatorio sugli sprechi in Italia la maggior parte dei prodotti che ogni giorno finiscono nelle pattumiere degli italiani sono latticini (32%), carne (30%), uova (29%), pane (28%), frutta e verdura (17%) e pesce (15%).

Esiste una lista di 10 linee guida rilasciate dal Ministero della Salute che, qualora venissero applicate in maniera sistematica da tutta la popolazione nazionale, contribuirebbero alla limitazione degli sprechi almeno a livello domestico:

  1. Prima di recarsi a fare la spesa è bene pianificare i pasti della settimana e controllare gli ingredienti che già si possiedono in casa in modo da comprare solo ciò che è effettivamente necessario; 
  2. Meglio evitare di andare a fare la spesa quando si è affamati perché è facile eccedere con gli acquisti;
  3. Importante non farsi prendere eccessivamente la mano dalle offerte;
  4. Leggere attentamente l’etichetta per essere sicuri di acquistare prodotti di qualità e per capirne la modalità di conservazione;
  5. Assicurarsi di applicare la giusta modalità di conservazione e, se la confezione del prodotto non è richiudibile, è bene utilizzare contenitori ermetici;
  6. Distribuire gli alimenti nel frigorifero in base alla data di scadenza posizionando i prodotti acquistate più di recente sul fondo e dando la precedenza a quelli più “vecchi”;
  7. Conoscere la differenza fra “data di scadenza” (data oltre la quale il prodotto non dovrebbe più essere mangiato) e “termine minimo di conservazione” (data oltre la quale il prodotto potrebbe aver subito qualche modifica dal punto di vista organolettico, ma può ancora essere consumato);
  8. Tenere sempre frutta e verdura in vista in modo da ricordarsi di consumarla;
  9. Preferire porzioni piccole in modo da poter utilizzare più alimenti contemporaneamente e impiegare gli avanzi per fare nuove ricette;
  10. Monitorare i rifiuti e valutare cosa ricomprare e in quale quantità: se ad esempio ci si rende conto di buttare ogni giorno della frutta o della verdura questo può aiutare a capire quanta acquistarne alla spesa successiva.

Rispettare il cibo, attribuirgli il giusto valore in un senso culturale ancor prima che economico, è un aspetto chiave se si vuole vincere la battaglia contro lo spreco.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=4661&area=nutrizione&menu=ristorazione

www.foodscovery.it 

Lo sviluppo agroalimentare sostenibile: cresce il divario tra Nord e Sud del mediterraneo

La sfida principale per l’intero settore alimentare è fornire cibo in quantità e qualità sufficienti per soddisfare il fabbisogno nutrizionale globale e, allo stesso tempo, preservare le risorse naturali e gli ecosistemi per sostenere il sistema agroalimentare sul lungo termine.

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite identificano le principali aree su cui si dovrebbero concentrare gli sforzi congiunti dei paesi del Mediterraneo, ma per essere messe in pratica necessitano di azioni concrete e immediate.

Nei prossimi anni la crescente pressione sulle risorse agro-alimentari, i mutamenti nell’uso delle risorse e i cambiamenti climatici accentueranno il divario tra Nord e Sud del Mediterraneo, e questo richiederà da parte dei governi risposte differenziate, ma coordinate, a livello sia strutturale che di comportamenti individuali” queste le parole del professor Pierangelo Isernia coordinatore, assieme al professor Angelo Riccaboni (presidente della fondazione PRIMA – Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area), del gruppo di ricerca Delphi AgrifoodMed dell’Università di Siena, il cui scopo è quello di sviluppare soluzioni intelligenti e innovative per una più sostenibile gestione idrica e dei sistemi agroalimentari nell’area mediterranea, attraverso la promozione di ricerca e innovazione.

A giugno, nell’ambito del convegno “Lo Sviluppo Sostenibile: Didattica, Ricerca & Innovazione nel campo agroalimentare per l’Agenda 2030”, sono stati presentati i risultati di un’indagine che da settembre 2017 a ottobre 2018 ha coinvolto un gruppo di 79 esperti, scelti fra professionisti e studiosi di diverse aree di competenza e provenienti da diversi paesi.

Questa ricerca si è articolata in tre fasi:

  1. Identificare le principali tendenze in corso sulla sostenibilità del sistema agroalimentare e idrico nel breve (2020) e lungo periodo (2030);

  2. Valutare la fattibilità degli interventi politici che i diversi paesi dell’area Mediterranea dovranno mettere in pratica in termini di gestione delle risorse idriche, sistemi agricoli e catene del valore agroalimentare;

  3. Fornire suggerimenti pratici che fungeranno da guida per tutti i soggetti interessati nella catena di approvvigionamento alimentare.

I risultati hanno portato all’identificazione di tre aspetti critici che si articoleranno nel breve e nel lungo periodo:

  • Il divario tra i modelli di sviluppo sostenibile dei paesi del nord del Mediterraneo (Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) e quelli del sud (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Tunisia, Turchia) continua a crescere;
  • I cambiamenti climatici incideranno in maniera negativa sul sistema agroalimentare aumentando le pressioni ambientali;
  • L’abbandono della dieta mediterranea in favore di una dieta più ricca di carni rosse, carboidrati raffinati, zuccheri e alimenti trasformati, ha profonde implicazioni sulle prospettive di salute delle popolazioni mediterranee.

Gli interventi politici che gli esperti hanno reputato “altamente desiderabili e altamente fattibili”, cioè quelli prioritari, sono essenzialmente cinque:

  1. Agire sulla salute pubblica aumentando la consapevolezza sanitaria e alimentare a partire dalle scuole. Questo permetterebbe di intervenire sui crescenti trassi di sovrappeso e obesità diffusi nelle aree mediterranee;
  2. Porre fine all’uso routinario di antibiotici in animali sani promuovendo la crescita e prevenendo le malattie infettive;
  3. Creare opportunità di lavoro per i giovani nelle aree mediterranee;
  4. Coinvolgere gli agricoltori nell’uso di nuove tecnologie per migliorare l’efficienza delle pratiche agricole;
  5. Affrontare il divario tecnologico e gestionale attraverso una maggiore collaborazione fra operatori del settore agricolo e comunità di ricerca, promuovendo l’innovazione nel settore agricolo.

Per stimolare lo sviluppo sostenibile e coordinato delle regioni del mediterraneo è necessario uno sforzo congiunto da parte dei governi di tutti i paesi.

L’impegno per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 quindi deve coinvolgere tutti gli attori della filiera agroalimentare e non deve essere sottovalutato, per la salute nostra e del nostro pianeta.

Come dice un antico detto del popolo Masai: tratta bene la Terra, non è un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.primaitaly.it/2019/06/12/sostenibilita-agroalimentare-e-idrica-nel-mediterraneo-il-divario-tra-nord-e-sud-e-destinato-ad-aumentare-nei-prossimi-anni/

http://www.primaitaly.it/wp-content/uploads/2019/06/AGRIFOODMED-Delphi-Final-Report.pdf