Cibi ultra-processati, diabete e insonnia: un consumo eccessivo incide negativamente sulla salute, come “difendersi”

In un’epoca in cui la mancanza di tempo rende il fare la spesa e il cucinare imprese quasi impossibili per buona parte delle persone, gli alimenti ultra-processati e preconfezionati sembrano rappresentare la soluzione ideale per risolvere il problema: poca spesa e molta resa.

Gli alimenti ultra-trasformati, cioè tutti quei prodotti industriali lavorati e confezionati caratterizzati da lunghissimi tempi di conservazione, con liste di ingredienti costituite da cinque o più elementi (tra cui grassi, zuccheri, stabilizzanti, conservanti e additivi), sono pratici, veloci da preparare, economici e, di conseguenza, molto diffusi nelle diete occidentali.

Quello che la maggior parte dei consumatori non tiene in considerazione è che quasi mai “molto economico” e “salutare” sono aspetti che viaggiano in parallelo, soprattutto quando si parla di alimentazione, e a farne le spese è la nostra salute.

Nell’elenco degli alimenti considerati “ultra-processati” figurano prodotti appartenenti alle più disparate categorie merceologiche: bevande gassate e bibite, succhi di frutta con zuccheri aggiunti, snack dolci e salati, gelati confezionati, caramelle, prodotti da forno industriali (biscotti, pane in cassetta, torte, ecc.), cereali da colazione, margarine, prodotti a base di carni ricostruite (ad esempio würstel e crocchette di pollo) o di pesce (bastoncini di pesce), zuppe in scatola e molti altri.

Negli ultimi anni un elevato consumo di questo tipo di prodotti è stato spesso associato ad un aumento del rischio di mortalità per qualsiasi causa e all’aumento del rischio di insorgenza di malattie croniche fra cui alcune forme di cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione e dislipidemie.

Molti sono gli studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche che trattano questo aspetto, fra gli ultimi uno studio prospettico sul rischio di insorgenza di diabete di tipo 2 associato al consumo di alimenti ultra-trasformati pubblicato nel mese di dicembre sul JAMA Internal Medicine:

In questo studio sono stati coinvolti 104.707 partecipanti. I dati sulle abitudini alimentari sono stati raccolti compilando dei registri dietetici ripetuti su 24 ore, progettati per monitorare il consumo abituale di oltre 3.500 alimenti diversi. Tramite il sistema NOVA (un sistema di classificazione validato sviluppato dall’Università di San Paolo in Brasile) i diversi alimenti sono stati catalogati in base al loro livello di elaborazione. Si è visto che mediamente la dieta di tutti i partecipanti era costituita per circa il 17% da alimenti ultra-trasformati. Alla fine del periodo di osservazione si è visto come ad un aumento del 10% del consumo di alimenti ultra-trasformati, corrispondeva un aumento del 15% del rischio di insorgenza di diabete.

Un altro studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition ha analizzato l’associazione fra il consumo di alimenti ultra-processati, ricchi di amidi raffinati e zuccheri aggiunti (quindi ad alto indice glicemico) con l’incidenza di insonnia in oltre 50 mila donne in menopausa: lo studio partiva dall’ipotesi che un aumento del carico glicemico a livello gastrointestinale corrispondeva una maggiore probabilità di soffrire di insonnia. Alla fine dello studio è risultato che effettivamente i soggetti che consumavano abitualmente più amidi raffinati e zuccheri aggiunti soffrivano più spesso di insonnia, mentre quelli che avevano una dieta costituita prevalentemente da alimenti semplici, naturali, ricchi di fibre e poco processati godevano di una qualità del sonno nettamente superiore.

Questi due recenti studi non fanno altro che confermare quello che era già noto: il consumo abituale ed eccessivo di alimenti industriali ultra-trasformati è dannoso.

Il motivo di questo impatto negativo è dovuto al fatto che in generale i cibi ultra-processati sono allo stesso tempo molto calorici e poveri di fibre, micronutrienti e fitocomposti, hanno un elevato indice glicemico e sono ricchissimi di grassi alimentari, zuccheri aggiunti, sale, aromi ed esaltatori di sapidità.

Il loro consumo incide su moltissimi aspetti della nostra salute, anche quelli meno noti ed evidenti, inoltre spesso questi cibi innescano il principio di food addiction (circuito di dipendenza innescato da alimenti altamente appetibili) e consumo compulsivo (binge eating) e questo avviene già a partire dall’età pediatrica che rappresenta la fascia di età maggiormente sedotta dal fascino e dal gusto di questo tipo di alimenti.

Come fare ad evitare di incorrere in questi problemi?

Bisogna riappropriarsi di un’alimentazione vera.

Quando la quantità di tempo a disposizione lo permette è preferibile acquistare alimenti “naturali”, crudi e freschi cucinandoli e assemblandoli tenendo in considerazione che:

  • I pasti devono essere bilanciati;
  • Le porzioni devono essere calcolate in base al sesso, allo stile di vita e al livello di attività fisica svolto;
  • Bisogna fare attenzione ai condimenti (sale, zucchero, olio, ecc.) e riscoprire le spezie che non aggiungono calorie e allo stesso tempo danno gusto ai piatti;
  • I pasti devono contenere tutti i macro- e micro-nutrienti fondamentali: carboidrati, grassi, proteine, fibre, vitamine e sali minerali.

Quando il tempo scarseggia e si sceglie di ricorrere ad alimenti preconfezionati è buona norma leggere attentamente le etichette nutrizionali.

Esistono infatti in commercio prodotti trasformati e confezionati di buona qualità e che possono essere inseriti all’interno di un regime alimentare bilanciato, sono i cosiddetti cibi minimamente trasformati (come ad esempio la lattuga in busta, le verdure già tagliate, minestroni e verdure surgelate, alcuni prodotti in scatola, ecc.).

Per riuscire ad orientarsi in questo mondo l’unico modo è assicurarsi che quello che si sta scegliendo di acquistare non sia solo gustoso e veloce da preparare, ma che contenga al suo interno solo ingredienti che riusciamo a riconoscere, che abbia un basso contenuto di zuccheri semplici e sale, che non contenga esaltatori di sapidità che spesso vengono aggiunti per dare sapore a prodotti in generale “poveri”, che gli oli aggiunti siano di buona qualità e in quantità moderate e, non meno importante, leggere attentamente le indicazioni per lo smaltimento differenziato degli imballaggi e delle confezioni.

I cibi trasformati fanno parte della nostra vita sempre più frenetica e di corsa, la cosa importante è saper scegliere.

 

Fonti e approfondimenti:

https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2757497

https://academic.oup.com/ajcn/advance-article-abstract/doi/10.1093/ajcn/nqz275/5673520?redirectedFrom=fulltext

http://blog.lalvearechedicesi.it/2018/10/11/cibi-processati-cosa-sono-e-perche-evitarli/

https://ilfattoalimentare.it/alimenti-ultra-trasformati-diabete-insonnia.html

www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/alimenti-ultra-processati-e-dipendenza-da-cibo-studio-scientifico

www.scienzemotorie.com/cibi-trasformati-conoscerli-e-saperli-utilizzare/

Azioni efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate: una revisione

In una revisione pubblicata sul Cochrane Database of Systematic Reviews (CDSR) è stato presentato un elenco di interventi che si sono rivelati effettivamente utili nella lotta al consumo di bevande zuccherate

Il Cochrane Database of Systematic Reviews è uno degli archivi più importanti per ciò che riguarda revisioni in ambito sanitario ed è di proprietà di Cochrane, una rete globale indipendente di ricercatori, professionisti, pazienti, assistenti e persone interessate alla salute.

Il motivo che ha spinto gli esperti di Cochrane a raccogliere questi dati è che ormai è scientificamente dimostrato che l’eccessivo consumo di zuccheri aggiunti e di bevande zuccherate, in cui rientrano non solo la coca-cola e l’aranciata, ma anche quelle che possono sembrare più “innocue” come il tè freddo e i succhi di frutta, rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza di diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, obesità e carie dentali.

Questo tipo di bevande forniscono solo “calorie vuote” derivate dagli zuccheri semplici senza apportare nessun nutriente utile o dare senso di sazietà.

L’assunzione di bevande zuccherate durante la prima infanzia inoltre rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di obesità in età scolare.

Una ricerca pubblicata nel 2014 sulla rivista Pediatrics illustra come il tasso di obesità fra i bambini di 6 anni che assumevano bevande zuccherate era del 17% contro l’8,6% di quelli che non le consumavano, praticamente il doppio.

Trovare strategie efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate, soprattutto fra bambini e adolescenti che ne sono i principali consumatori, permetterebbe di contribuire alla prevenzione dell’insorgenza di sovrappeso, obesità e patologie ad esse correlate già a partire dalla giovane età.

La revisione in esame prende in considerazione 58 studi che analizzano le cosiddette “strategie ambientali” attuabili per ridurre il consumo di bevande zuccherate.

Per “strategie ambientali” si intendono quegli interventi il cui scopo è modificare il contesto sociale che porta l’individuo a scegliere di acquistare un determinato tipo di prodotto, in questo caso una bevanda zuccherata.

Tutti gli studi in esame avevano una durata media di circa un anno: sono stati svolti in scuole, negozi o ristoranti e complessivamente hanno coinvolto più di un milione di persone fra adulti, adolescenti e bambini.

Tra gli interventi risultati più efficaci sono stati riscontrati:

  1. L’utilizzo di etichette nutrizionali di facile comprensione, ad esempio l’etichettatura a semaforo;

  2. Limitare la disponibilità di bevande zuccherate nelle scuole;

  3. Aumentare i prezzi delle bevande zuccherate vendute nei ristoranti, nei negozi e nei luoghi di svago;

  4. Sostituire le bevande zuccherate nei menù per bambini con bibite più salutari o semplicemente con acqua;

  5. Fare promozione su bevande più salutari nella grande distribuzione;

  6. Mettere a disposizione buoni per promuovere l’acquisto di prodotti come frutta e verdura;

  7. Promuovere iniziative che rendano l’acqua facilmente disponibile;

  8. L’introduzione, nelle scuole, di premi per i bambini che scelgono di consumare acqua piuttosto che bibite zuccherate.

L’autore della revisione il professor Hnas Hauner, professore di medicina nutrizionale presso la Technical University di Monaco, spiega che per riuscire a combattere l’eccessivo consumo di bevande zuccherate nel mondo “i governi e le aziende di settore devono fare la loro parte per convincere i consumatori a fare scelte sane. Questa revisione evidenzia le misure chiave che possono contribuire a raggiungere ciò” .

L’OMS consiglia di limitare l’assunzione di zuccheri semplici al 5-10% dell’introito calorico giornaliero e gli zuccheri presenti nelle bevande zuccherate vanno a sommarsi agli zuccheri aggiunti presenti in diversi prodotti industriali:

  • snack dolci e salati;
  • sughi pronti;
  • biscotti;
  • crackers;
  • salse;
  • yogurt;
  • piatti pronti;
  • e moltissimi altri. 

Il fatto che gli zuccheri aggiunti si trovino anche all’interno di prodotti insospettabili rende molto difficile per i consumatori rimanere all’interno del range consigliato.

E’ importante sottolineare che le raccomandazioni si riferiscono solo a glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti agli alimenti e a quelli presenti in miele e sciroppi, sono quindi esclusi gli zuccheri naturalmente presenti in frutta, verdura o nel latte, per i quali vigono le regole di una sana ed equilibrata alimentazione e non esistono vere e proprie controindicazioni. 

La promozione di un regime alimentare sano, di iniziative che stimolino i consumatori a preferire alimenti poco elaborati e la semplificazione e trasparenza delle etichette nutrizionali sono sicuramente strategie efficaci per vincere la lotta all’eccesso di zuccheri.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD012292.pub2/full

http://www.informasalus.it/it/articoli/strategia-ridurre-bevande-zuccherate.php

http://www.sinu.it/html/wlnews/24-03-2015/organizzazione_mondiale_della_sanit_nuove_linee_guida_sullassunzione_di_zuccheri_valide_per_adulti_e_bambini.asp

Pan L, Li R, Park S, Galuska DA, Sherry B, Freedman DS. A longitudinal analysis of sugar-sweetened beverage intake in infancy and obesity at 6 years. Pediatrics. 2014;134 Suppl 1:S29-35.

L’importanza degli spuntini nell’alimentazione quotidiana, una revisione italiana

Un team di esperti italiani, con il coordinamento della Nutrition Foundation of Italy, ha recentemente pubblicato, sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Food Science and Nutrition, una revisione dal titolo “Snacking in nutrition and health”, ottenuta tramite l’analisi della letteratura scientifica pubblicata in tutto il mondo.

Può sembrare un ossimoro dato che nel nostro paese lo “spizzicare” viene visto come l’abitudine scorretta del mangiare fuori pasto, in maniera non programmata, non controllata e senza avere appetito, in quest’ottica risulta difficile associarlo ad uno stile di vita sano ed una dieta bilanciata.

In realtà il termine anglosassone “snacking” viene impiegato per indicare gli spuntini di metà mattina e metà pomeriggio che ben si differenziano dal mangiare casualmente fuori pasto in quanto hanno un ruolo ed una collocazione temporale ben precisi all’interno della dieta e devono rispondere ad esigenze nutrizionali specifiche.

Esiste una moltitudine di evidenze scientifiche a sostegno del fatto che frazionare la distribuzione giornaliera di energia e l’apporto di nutrienti in 4-5 occasioni, rispetto a concentrarli nei soli 3 pasti principali, abbia un impatto positivo sulla qualità complessiva della dieta e sul metabolismo:

  • Il consumo di uno spuntino a metà mattina e/o a metà pomeriggio evita il sovraccarico digestivo e metabolico,

  • Migliora il controllo dell’assunzione calorica nei pasti principali contribuendo al controllo del peso corporeo, ecco perché questi due pasti prendono generalmente il nome di “spezza-fame”. Il consumo di un piccolo snack fra un pasto e l’altro permette di arrivare al pasto principale meno affamati e, di conseguenza, favorisce una scelta più ponderata della qualità e della quantità del cibo che si mette nel piatto ai pasti principali,

  • Frazionare i nutrienti in diverse occasioni aiuta a ridurre il carico glicemico complessivo dei pasti e permette di mantenere costante la concentrazione di glucosio circolante, evitando l’insorgenza di cali e picchi glicemici e mantenendo bassi i livelli di insulina,

  • Per chi svolge un’attività fisica intensa lo spezza-fame aiuta a ripristinare le riserve di glicogeno e mantenere integro il tessuto muscolare,

  • La lipolisi (ovvero il consumo di trigliceridi) viene maggiormente attivata.

Ovviamente il fuori pasto non deve prescindere da una corretta alimentazione generale e non deve andare ad aggiungere ulteriori calorie all’introito giornaliero. Gli spuntini devono entrare a fare parte in maniera bilanciata della dieta quotidiana: sostanzialmente la qualità e la quantità degli alimenti consumati durante colazione, pranzo e cena dovrebbero guidare la scelta della merenda che meglio si adatti alle abitudini e alle esigenze.

In linea generale lo spuntino di metà mattina dovrebbe rappresentare circa il 5-8% dell’introito calorico giornaliero mentre quello di metà pomeriggio, dato che il tempo che intercorre fra il pranzo e la cena è generalmente superiore rispetto a quello che passa fra la colazione e il pranzo, dovrebbe essere un po’ più articolato e rappresentare circa il 7-10% delle calorie totali giornaliere.

Gli spuntini acquisiscono un ruolo differente durante le diverse fasi della vita:

  • In età pediatrica l’inserimento di due spuntini durante la giornata serve a migliorare l’indice qualitativo dell’alimentazione e insegna ai bambini fin dalla più giovane età ad acquisire corrette abitudini alimentari,

  • In età adulta invece lo spuntino aiuta la regolazione del senso di fame e di conseguenza favorisce il bilanciamento della secrezione ormonale oltre che il controllo della glicemia, del peso corporeo e del profilo lipidico,

  • Per gli anziani gli spuntini servono come aiuto per il completamento della dieta. Lo stato di malnutrizione nelle persone anziane è piuttosto comune ed è in gran parte imputabile alle scelte alimentari che, con l’avanzare dell’età, diventano sempre più limitate e, allo stesso tempo, complesse influenzate sia da fattori biologici e ambientali che sociali e psicologici.

Ma che caratteristiche deve avere uno spezza-fame per avere un impatto positivo sull’alimentazione?

Ovviamente non tutti gli snack sono adatti ad un regime alimentare sano, la maggior parte degli snack confezionati che si trovano in commercio ad esempio sono ricchi di additivi, zuccheri, sale e grassi saturi o idrogenati al solo scopo di risultare più appetibili per questioni di gusto e di consistenza. Se è vero che lo spuntino può svolgere anche il ruolo di “comfort food” (ovvero un cibo che appaga sia dal un punto di vista del gusto che della psiche) è anche vero che deve sempre essere rispettato il bilancio quotidiano di energia e nutrienti, questo significa che gli spuntini devono essere studiati e calibrati tenendo in considerazione età, sesso, stile di vita e livello di attività fisica del singolo soggetto.

Di seguito alcuni alimenti che potrebbero entrare a far parte di uno spuntino bilanciato, che favorisce il senso di sazietà e ci gratifica troviamo:

  • Frutta secca e disidratata, ad esempio prugne disidratate, che aiutano a mantenere lo stato di sazietà e hanno un basso indice glicemico;

  • Latticini, come lo yogurt al naturale o un formaggio magro, o comunque un cibo proteico;

  • Frutta e verdura, fonte di vitamine, minerali e fibre;

  • Prodotti da forno privi di grassi saturi o idrogenati, i prodotti cerealicoli andrebbero preferiti con un contenuto pari al 50% di cereali integrali.

Come bevanda di accompagnamento è meglio preferire sempre l’acqua: il mantenimento dello stato di idratazione durante la giornata e fondamentale per permettere a tutto l’organismo di funzionare correttamente.

In conclusione: è riconosciuto a livello internazionale che suddividere le calorie e i nutrienti giornalieri in 4-5 momenti, piuttosto che concentrare tutto nei 3 pasti principali, sia vantaggioso dal punto di vista metabolico. Fondamentale per evitare di incorrere in eccessi è rispettare sempre la collocazione temporale degli spuntini, limitandosi a metà mattina e metà pomeriggio, controllare il contenuto energetico e la composizione degli alimenti che si sceglie di consumare e adattarli alle proprie esigenze.

Fonti e approfondimenti:

Franca Marangoni, Daniela Martini, Silvia Scaglioni, Michele Sculati, Lorenzo Maria Donini, Francesco Leonardi, Carlo Agostoni, Gianluca Castelnuovo, Nicola Ferrara, Andrea Ghiselli, Michelangelo Giampietro, Claudio Maffeis, Marisa Porrini, Bianca Barbi & Andrea Poli (2019) Snacking in nutrition and health, International Journal of Food Sciences and Nutrition, DOI: 10.1080/09637486.2019.1595543

http://www.nutrition-foundation.it/apb-alimentazione–prevenzione-benessere-n-4—2019.aspx

E’ vero che alcuni tipi di zuccheri aggiunti sono più sani rispetto ad altri?

È ormai scientificamente dimostrato che un eccessivo consumo di zuccheri aggiunti sia dannoso per la salute.

A questo proposito però è importante fare una precisazione:

Con il termine “zuccheri semplici” convenzionalmente si indicano i carboidrati monosaccaridi, costituiti da una sola molecola, e disaccaridi, questi ultimi costituiti da due molecole di monosaccaridi:

  • Monosaccaridi: glucosio, fruttosio e galattosio;

  • Disaccaridi: saccarosio (glucosio + fruttosio), lattosio (glucosio + galattosio), maltosio (glucosio + glucosio).

Questi zuccheri semplici si trovano anche naturalmente negli alimenti, sono presenti ad esempio nella frutta (fruttosio), nei prodotti caseari (lattosio), ma anche nei cereali germinati (maltosio). Quelli che si trovano nei prodotti industriali sono i cosiddetti “zuccheri aggiunti” ovvero zuccheri semplici estratti, trattati e aggiunti agli alimenti durante il processo di lavorazione.

Quando si parla di “zucchero” al singolare tradizionalmente ci si riferisce al comune zucchero da tavola raffinato, ovvero il saccarosio purificato estratto dalla barbabietola da zucchero, che viene aggiunto nella ricettazione di un prodotto.

È importante fare questa precisazione perché, nonostante gli zuccheri naturalmente presenti e quelli aggiunti vengano metabolizzati dall’organismo attraverso le stesse vie, gli zuccheri semplici naturalmente presenti nel cibo non hanno particolari controindicazioni al consumo mentre quelli aggiunti risultano essere una fra le cause di aumento dell’insorgenza di obesità, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e anche alcune forme di tumore.  

Gli zuccheri naturalmente contenuti negli alimenti sono presenti in quantità moderate e con essi vengono assunte anche fibre e altri nutrienti che riducono l’impatto negativo sulla glicemia e sono utili a mantenere l’organismo in salute, al contrario gli zuccheri vengono aggiunti agli alimenti industriali prevalentemente per motivi di gusto e non hanno nessun impatto benefico sul metabolismo.

Le principali fonti di zuccheri aggiunti nell’alimentazione sono le bevande zuccherate e il cibo confezionato, in particolare quello ultra-processato.

Sugli scaffali sono presenti moltissimi prodotti contenenti zuccheri aggiunti provenienti da diverse fonti e indicati con molti nomi diversi più o meno noti.

Capita spesso di imbattersi nell’elenco ingredienti in diciture come sciroppo di glucosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), sciroppo di agave, zucchero di canna, malto d’orzo, destrosio, maltosio, fruttosio, ecc.

Posto che sono tutti dolcificanti aggiunti, che quindi rappresentano una fonte di calorie non necessaria per l’organismo: esistono davvero delle differenze fra i diversi tipi di zuccheri?

È prassi comune infatti pensare che alcuni zuccheri siano più salutari rispetto ad altri e questo guida le scelte di acquisto del consumatore verso un prodotto piuttosto che un altro, ma è davvero così?

Esistono zuccheri aggiunti più “sani” di altri?

Un articolo pubblicato sul sito della Harvard Medical School spiega che molti degli zuccheri che vengono aggiunti agli alimenti sono costituiti da fruttosio e glucosio (oppure solo da fruttosio o solo da glucosio), quello che li differenzia spesso è solo il rapporto fra i due monosaccaridi: lo zucchero da tavola (saccarosio) ad esempio è costituito per il 50% da glucosio e l’altro 50% da fruttosio, lo sciroppo d’agave è 90% fruttosio e 10% glucosio, ecc.

Fruttosio e glucosio seguono due vie metaboliche diverse: il glucosio viene assorbito dall’intestino e passa nel sangue aumentando la glicemia (livelli ematici di glucosio), il fruttosio viene invece metabolizzato nel fegato di conseguenza non porta ad un aumento di glucosio nel sangue, ma sul lungo termine e ad elevate concentrazioni (quindi non quelle presenti nella frutta) aumenta il rischio di insorgenza di patologie epatiche.

In conclusione, che uno zucchero aggiunto contenga più o meno fruttosio rispetto al glucosio ha in realtà un impatto minimo sulla salute.

Salvo condizioni particolari, come nel caso dei diabetici, un tipo di zucchero aggiunto non è migliore rispetto ad un altro e in ogni caso è sempre meglio limitare tutte le fonti di zucchero aggiunto e mantenersi sotto al livello di assunzione raccomandato che, secondo l’OMS, dovrebbe aggirarsi intorno al 5-10% delle calorie giornaliere.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.health.harvard.edu/blog/are-certain-types-of-sugars-healthier-than-others-2019052916699

http://www.ospedalebambinogesu.it/fruttosio-danni-fegato#.XPfEgogzaUk

Studio IDEFICS: Troppi zuccheri semplici nella dieta dei bambini europei

In Europa soltanto la dieta di 20 bambini su 100 rispetta le linee guida dell’OMS soprattutto per quanto riguardo l’apporto di zuccheri semplici.

È quello che emerge dallo studio IDEFICS (Identification and prevention of Dietary and lifestyle induced health EFfects in Children and infantS), iniziato nel settembre del 2006 e concluso in febbraio 2012, il cui scopo era quello di raccogliere dati utili per effettuare una valutazione internazionale del problema dell’obesità infantile.

Nello studio sono stati presi in considerazione i consumi di zuccheri semplici presenti nella dieta di 16.228 bambini nella fascia d’età 2-9 anni in otto Paesi europei, Italia compresa. Il 20% dei bambini presi in considerazione sono risultati sovrappeso o obesi.

Con il termine “zuccheri semplici” o “zuccheri liberi” in etichetta vengono identificati sia il glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti in un alimento industriale al momento della produzione, durante la cottura o prima del consumo, sia gli zuccheri naturalmente presenti nell’alimento.

L’OMS suggerisce che gli zuccheri semplici non debbano costituire più del 10% dell’apporto calorico giornaliero.

Come fonti di zuccheri semplici sono stati considerati gli alimenti appartenenti a differenti gruppi:

  • vegetali;
  • cereali e prodotti da forno;
  • bevande zuccherate;
  • caffè,
  • tè e tisane;
  • latte e latticini in generale;
  • succhi di frutta;
  • caramelle, snack di cioccolata e dolci;
  • patate;
  • frutta secca e semi oleosi;
  • condimenti pronti e salse (maionese, ketchup, ecc.);
  • zuppe pronte e brodi.

Dalle analisi è emerso che:

  1. I succhi di frutta e le bevande zuccherate forniscono la maggior quota di zuccheri liberi: questo non è difficile da capire, basti considerare che una bottiglietta da 500 ml di thé delle più note marche contiene circa 50 g di zucchero che corrisponde a circa 10 zollette di zucchero.

  2. Le bevande sono seguite da latte e derivati: oltre a quelli naturalmente presenti nei prodotti non è raro che vengano aggiunti zuccheri, ad esempio negli yogurt soprattutto se aromatizzati. Leggendo le etichette nutrizionali è possibile vedere come alcuni yogurt etichettati come light, contengano più di 10 g di zucchero (quasi 2,5 zollette da 5 g). Negli yogurt considerati “light” ad essere abbattuto è il contenuto di grassi che nella migliore delle ipotesi vengono sostituiti da proteine, ma più spesso da zuccheri.

  3. Terzi in elenco risultano essere i dolciumi e le caramelle.

Mediamente i bambini europei consumano circa il 18% delle calorie giornaliere sotto forma di zuccheri semplici. A differenza dei bambini tedeschi – che sono quelli che ne abusano maggiormente (27,2%) – gli italiani sono tra i più virtuosi (13,3%), nonostante siano comunque sopra il limite consigliato dall’OMS.

L’Italia è comunque uno dei paesi con il più alto tasso di sovrappeso o obesità infantile.

Come riportato da uno studio del 2019 dell’OMS fatto su oltre 600 mila bambini provenienti da 21 paesi della comunità europea (Prevalence of severe obesity among primary school children in 21 european countries): nel nostro paese circa 1 bambino su 2 soffre di sovrappeso, mentre 1 su 5 è obeso conclamato e a soffrirne sono più i maschi delle femmine.

Lo studio IDEFICS conferma che, pur con delle notevoli differenze, in linea generale i bambini europei tra i 2 e i 9 anni assumono una quota di zuccheri liberi eccessiva rispetto a quella raccomandata dall’OMS.

Questi dati delineano uno scenario abbastanza preoccupante, è piuttosto comune infatti che gli alimenti indirizzati ad un pubblico giovane siano arricchiti di zuccheri semplici per renderli più appetibili per i piccoli acquirenti.

Gli zuccheri semplici aggiunti agli alimenti sono accusati di essere una delle principali cause di obesità e altre patologie croniche come il diabete di tipo 2, le differenze rilevate tra i diversi paesi devono essere tenute in considerazione per disegnare degli interventi educazionali specifici diretti non solo alla popolazione, ma anche all’industria alimentare.

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.nutrition-foundation.it/notizie/tra-i-bambini-europei-di-eta-tra-2-e-9-anni-lapporto-di-zuccheri-liberi-eccede-le-raccomandazioni-delloms–i-bambini-italiani-sono-i-piu-moderati.aspx

http://www.ideficsstudy.eu/home.html

https://www.karger.com/Article/Pdf/500436

www.ilfattoalimentare.it

 

 

 

Dieta Mediterranea patrimonio dell’UNESCO

Quando si parla di “corretto regime alimentare” ci si riferisce ad una dieta che assicuri il giusto apporto di tutti i macronutrienti e i micronutrienti essenziali per lo sviluppo, la crescita e il mantenimento dello stato di salute dell’individuo.

In quest’ottica la Dieta Mediterranea meglio definita come “modello alimentare mediterraneo”, ispirato ai modelli alimentari seguiti dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, è sicuramente quanto di più vicino ad un regime alimentare ottimale.

Le prime evidenze scientifiche della validità dei principi della Dieta Mediterranea risalgono agli anni ’50 con lo “Studio dei sette Paesi” promosso da Ancel Keys (1904 – 2004; biologo, fisiologo ed epidemiologo considerato il primo biologo nutrizionista della storia e padre fondatore della scienza dell’alimentazione) che ha coinvolto sette nazioni di quattro regioni della terra (Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Iugoslavia, Paesi Bassi e Giappone) e che ha studiato i rapporti tra stile di vita, dieta, ed insorgenza di malattie cardiache ed ictus. I risultati hanno dimostrato che più ci si allontanava dal regime alimentare tipico dei paesi del mediterraneo maggiore era l’incidenza di patologie cardiovascolari.

Nel 2010 l’UNESCO ha riconosciuto la Dieta Mediterranea comepatrimonio immateriale dell’umanità” riconoscendone la paternità ad Italia, Grecia, Marocco, Cipro, Croazia e Portogallo.

La Dieta Mediterranea rappresenta “un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo”.

È caratterizzata da cereali – soprattutto integrali – frutta fresca, frutta secca, verdura, olio d’oliva e spezie a cui si affianca un modesto consumo di derivati animali: latticini, carne, pesce.

Anche il vino – in particolare quello rosso, ricco di polifenoli – rientra con moderazione nel regime alimentare mediterraneo assieme a te, tisane e infusi che fanno parte delle diverse tradizioni di ogni paese.

L’effetto benefico sulla prevenzione di patologie cronico degenerative associato a questo regime alimentare, in particolare sulle patologie a carico del sistema cardiovascolare, è imputabile alla ricchezza di sostanze come acidi grassi insaturi e polinsaturi (omega-3 e omega-6), fibre e composti ad azione antiossidante caratteristici dei cibi di origine vegetale ed al bilanciamento delle calorie introdotte tra i diversi principi alimentari.

Per “bilanciamento delle calorie” si intende la ripartizione ottimale delle calorie assunte giornalmente tra i diversi nutrienti: in un regime alimentare ottimale le proteine devono rappresentare il 10-15% delle calorie introdotte giornalmente, i carboidrati il 55-60% mentre i grassi il 25-30%.

Il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha rilasciato un insieme di Linee Guida pratiche, ispirate ai principi della Dieta Mediterranea, per seguire un regime alimentare sano:

  • Consumare quotidianamente almeno 5 porzioni di frutta fresca e verdura e circa 30 g di frutta secca oleosa, secondo quanto indicato dai LARN (Standard delle Porzioni);
  • Ridurre il consumo di grassi saturi, in cui rientrano non solo burro e grassi animali ma anche l’olio di palma. Importante è la sostituzione nella dieta dei grassi saturi con grassi insaturi, come l’olio d’oliva o gli olii di semi preferibilmente utilizzati a crudo, che è in grado di favorire la normalizzazione dei livelli di colesterolo nel sangue contribuendo alla prevenzione di patologie a carico del sistema cardiocircolatorio;
  • Cercare di introdurre la maggior parte delle calorie giornaliere (circa il 50-60%) attraverso il consumo di carboidrati complessi fra cui cereali (farro, orzo, segale, ecc.), pasta, pane e riso preferibilmente integrali. I cereali integrali sono un’ottima fonte di fibre rispetto a quelli prodotti attraverso l’impiego di farina raffinata;
  • Favorire il consumo di proteine vegetali, come ad esempio i legumi, creando combinazioni che permettano l’assunzione di tutti gli amminoacidi essenziali. Il consumo di proteine animali andrebbe limitato;
  • Quando si consumano prodotti di origine animale sarebbe meglio scegliere il pesce e le carni bianche e limitare invece il consumo di carne rossa, insaccati e latticini (soprattutto quelli particolarmente grassi). Il consumo di questi ultimi andrebbe ridotto ad un massimo di 2 volte a settimana;
  • Ridurre il consumo di zucchero e prodotti addizionati di zuccheri semplici (merendine confezionate, dolciumi, caramelle, biscotti confezionati, ecc.);
  • Ridurre il consumo di sale, seguendo gli accorgimenti forniti dal Ministero della Salute;
  • Bere molta acqua (1 litro e mezzo al giorno) e limitare invece l’apporto di bibite in lattina e, soprattutto, di bevande alcoliche;
  • Variare molto le proprie scelte alimentari ogni giorno.

Per veicolare in modo facile ed intuitivo i principi della Dieta Mediterranea nel 1992 è stata ideata la Piramide Alimentare.  In tempi più recenti (2005) la piramide ha subito una sostanziale revisione dovuta sia ai cambiamenti dello stile di vita e delle abitudini della popolazione che alle nuove scoperte scientifiche in ambito alimentare:

  • I cereali raffinati (pasta, pane bianco, patate) sono stati spostati dalla base alla cima della piramide, tra gli alimenti da consumare con moderazione.  L’attenzione infatti si è spostata dal livello di complessità dei carboidrati alla loro capacità di incrementare più o meno velocemente la glicemia nel sangue. I cereali integrali hanno un impatto glicemico minore rispetto a quelli raffinati e sono da preferire.
  • Anche i lipidi hanno subito una modifica: infatti mentre all’apice sono stati lasciati solo i grassi di origine animale come consumo saltuario, i grassi vegetali (come l’olio d’oliva) sono stati spostati alla base come consumo quotidiano.

Fra i pilastri della dieta mediterranea, che si troverebbero idealmente alla base della piramide alimentare, ci sono anche aspetti che esulano dall’alimentazione vera e propria e che completano il quadro del regime alimentare perfetto:

  • Il piacere e la convivialità dei pasti: riscoprire il piacere di cucinare e, quando possibile, condividere i propri pasti contribuisce al benessere della persona,
  • La stagionalità dei prodotti: scegliere per ogni stagione i prodotti più adatti e ricchi di nutrienti,
  • Tenere sotto controllo il peso,
  • Ricordarsi sempre di associare ad una sana alimentazione anche attività fisica quotidiana: non è necessario esagerare, basta anche mezz’ora di attività aerobica moderata, come camminare, nuotare a rana o dorso o andare in bicicletta.

Bisogna sempre ricordare che: un sano stile di vita è nutrimento di benessere e longevità.

 

Fonti e approfondimenti:

G. Liguri; Nutrizione e dietologia – Aspetti clinici dell’alimentazione; Zanichelli

http://www.lascuoladiancel.it/ancel-keys/

http://www.nucisitalia.it/dieta-mediterranea/

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/dieta-mediterranea-una-piramide-di-salute

 

Semplicemente Frutta alla Diabetes Marathon 2019

Anche Euro Company perché il diabete non abbia più potere di decidere della vita di nessuno!

Sai perché noi di Euro Company abbiamo scelto di essere tra i protagonisti della quinta edizione di Diabetes Marathon? “Perché non esiste nessuna volontà che ci lega al destino” e vogliamo essere accanto a tutte quelle famiglie che convivono con il diabete ogni giorno della loro vita.

Il diabete è una malattia molto diffusa in Italia e nel mondo.

Ogni anno sono migliaia i nuovi casi ed è quindi di fondamentale importanza informare le persone e imparare a differenziare le due principali tipologie di diabete esistenti:

  1. Il diabete di tipo 1 (diabete giovanile o dell’infanzia) esordisce fra i 6 mesi e i 25 anni, è conosciuto anche come diabete insulino-dipendente in quanto il pancreas non è in grado di produrre insulina (l’ormone che regola il metabolismo del glucosio) e per far fronte agli aumenti di glicemia i pazienti devono imparare a fare la conta dei carboidrati e somministrarsi l’insulina di conseguenza. In Italia i pazienti affetti da questo tipo di diabete sono circa 25’000 dagli 0 ai 18 anni di età.
  2. Il diabete di tipo 2 è invece il diabete che insorge in età adulta, più spesso in pazienti in età avanzata. A differenza di quello giovanile, che ha cause soprattutto di tipo genetico, il diabete di tipo 2 può essere prevenuto. Per farlo è necessario seguire uno stile di vita sano e corretto che comprenda cura e attenzione per la propria alimentazione, prediligendo alimenti freschi e stagionali, evitando il più possibile junk food e alimenti confezionati addizionati di zuccheri semplici, grassi di scarsa qualità, sale e additivi in genere, accompagnandola sempre con attività fisica costante. In Italia sono quasi 4 milioni i pazienti affetti da diabete di tipo 2.

L’associazione Diabete Romagna lavora tutti i giorni per migliorare la qualità della vita delle persone con diabete: bambini, adolescenti, mamme in dolce attesa, adulti e anziani.

Le iniziative dell’associazione sono dedicate alla prevenzione, alla diagnosi precoce, al trattamento e alla riabilitazione, con la finalità di sensibilizzare la popolazione alla malattia, di prevenirne la comparsa, ove possibile, e di sostenere la persona con diabete nella gestione quotidiana della patologia per evitare l’insorgere delle sue pericolose complicanze.

La sesta edizione di Diabetes Marathon organizzata da Diabete Romagna si è svolta a partire da venerdì 3 aprile a con una cena benefica e l’intervento artistico del grande artista Roberto Mercadini (attore teatrale e scrittore italiano).

Venerdì 12 aprile in Piazza del Popolo a Cesena Diabetes Marathon Music assieme a Radio Studio Delta per un grande concerto solidale. Sul palco a raccontare le loro storie con il diabete bambini che non si sono lasciati rubare il sorriso, giovani e adulti che non si sono lasciati abbattere da questa subdola malattia.

Sabato 13 aprile a Rimini, convegni, seminari, laboratori sull’alimentazione, la prevenzione delle complicanze e le ultime scoperte tecnologiche. Sempre sabato 13 aprile si è inoltre tenuta la passeggiata culturale “A spasso con Caterina” curata da Marco Viroli.

Domenica 14 aprile si è tenuta la vera e propria maratona per podisti e famiglie. Presso il Campo di Atletica C. Gotti di Forlì si sono svolte camminate, corse competitive e attività per bambini precedute, nel programma della giornata, da momenti di prevenzione e esibizioni sportive.

Il ricavato dell’intera manifestazione contribuirà a migliorare la vita di adulti e bambini con diabete finanziando professionisti, strumentazione sanitaria e i campi formativi per famiglie.

Euro Company con Semplicemente Frutta ha corso Diabetes Marathon 2019 perché, insieme a Diabete Romagna, vogliamo che un giorno il diabete non abbia più potere di decidere della vita di nessuno!

Grazie per aver corso con noi!

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.diabeteitalia.it/il-diabete

 

Il consumo eccessivo di alimenti ultra-trasformati aumenta rischio di mortalità

Uno studio francese iniziato nel 2009 e seguito fino al 2017 ha portato alla luce la relazione fra consumo di alimenti industriali ultra-trasformati e l’aumento del rischio di mortalità.

Per alimenti ultra-trasformati si intendono quei cibi “caratterizzati da formulazioni pronte per il consumo o per il riscaldamento a base di ingredienti generalmente combinati con additivi” spesso ricchi di sale e zuccheri e poveri di vitamine, minerali e fibre.

Si tratta di uno studio di coorte prospettico osservazionale, questo significa che un gruppo di soggetti è stato seguito e controllato per i (circa) 7 anni di durata dello studio. La coorte era costituita da soggetti di 45 o più anni, selezionati fra quelli che hanno preso parte al progetto NutriNet-Santé. In totale hanno partecipato circa 44mila persone, di cui il 73,1% erano donne, con un’età media di circa 57 anni.

Durante il periodo in esame, ogni anno, i soggetti potevano compilare (in maniera non obbligatoria) i seguenti 5 questionari online:

  • Questionario alimentare (3 diari alimentari basati su giornate estratte a sorte)
  • Questionario sullo stato di salute
  • Questionario antropometrico
  • Questionario sul livello di attività fisica
  • Questionario socio-demografico e sullo stile di vita

A completamento dei 7 anni di follow-up sono stati presi in considerazione solo i soggetti che avessero completato almeno 1 dei 3 diari alimentari giornalieri richiesti per i primi 2 anni di osservazione.

Dai dati è emerso che gli alimenti ultra-processati rappresentavano circa il 14,4% del quantitativo totale del cibo consumato giornalmente, corrispondente al 29,1% dell’apporto energetico totale.

Durante il corso dello studio ci sono state 602 morti principalmente a causa di neoplasie e patologie cardiovascolari.

Alla fine del follow-up è risultato che un aumento del 10% del consumo nella propria alimentazione di cibi industriali (fra cui rientrano noodles istantanei, zuppe liofilizzate, crocchette di pollo, bibite, snack e barrette di cioccolata, cereali per la colazione e molti altri) era associato ad un incremento di circa il 14% del rischio di mortalità per tutte le cause.

Nonostante questo risultato la co-autrice Mathilde Touvier, direttrice del centro di ricerca francese per la salute pubblica, ha sottolineato la necessità di non creare allarmismi. Lo studio infatti si conclude dicendo che “sono necessari ulteriori studi prospettici per confermare questi risultati e per districare i vari meccanismi attraverso i quali i cibi ultra-processati possono influire sulla salute”.

È evidente che questi risultati siano alquanto preoccupanti, ma come per qualsiasi ambito, in particolare quello dell’alimentazione, vige la regola del buon senso e della modica quantità: è ovvio che il consumo saltuario/occasionale di cibi pronti ed industriali non porti ad un aumento del 14% del rischio di mortalità, diverso è invece quando questi alimenti vanno a costituire la parte predominante della dieta quotidiana.

È fondamentale fare luce sull’argomento: spesso infatti chi sceglie di alimentarsi prevalentemente con prodotti industriali ultra-trasformati lo fa per questioni di prezzo (gli alimenti industriali di scarsa qualità e scarso contenuto di nutrienti utili hanno costi generalmente inferiori rispetto ai prodotti freschi e di qualità), di gusto (i prodotti trasformati sono quasi sempre ricchi di sale, zuccheri e aromatizzanti il cui scopo è quello di aumentare la sapidità del prodotto) e/o per mancanza di tempo e voglia di cucinare, questo a discapito del valore nutrizionale di un alimento, dell’importanza di una dieta sana e bilanciata e, di conseguenza, della propria salute.

L’obiettivo di Euro Company è quello di garantire ai propri consumatori prodotti di qualità, poco trasformati, senza additivi ne conservanti e provenienti da filiere etiche e controllate.

Fonti e approfondimenti:

https://www.etude-nutrinet-sante.fr/

Schnabel L, Kesse-Guyot E, Allès B, et al. Association Between Ultraprocessed Food Consumption and Risk of Mortality Among Middle-aged Adults in France. JAMA Intern Med. Published online February 11, 2019. doi:10.1001/jamainternmed.2018.7289 – https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2723626

http://www.leparisien.fr/societe/malbouffe-une-nouvelle-etude-pointe-les-aliments-ultratransformes-12-02-2019-8010051.php

Un cucchiaino per scoprire lo zucchero aggiunto

I carboidrati sono una classe di nutrienti fondamentali, spesso indicati con il termine generico di zuccheri.

In base alla complessità delle molecole vengono suddivisi in monosaccaridi e disaccaridi (anche detti “zuccheri semplici”), a cui appartengono glucosio e saccarosio, e polisaccaridi (“zuccheri complessi”), a cui appartiene l’amido.

Una distinzione fondamentale è quella tra zuccheri naturalmente presenti negli alimenti, come quelli che si trovano in frutta (fruttosio) e prodotti caseari (lattosio), e zuccheri raffinati estratti industrialmente da canna da zucchero, barbabietole e cereali, che vengono aggiunti agli alimenti durante la trasformazione.

Quando si parla di alimentazione questa separazione è importante per due motivi:

  1. Naturali e raffinati vengono assimilati diversamente dall’organismo (complici fibre e altri composti presenti naturalmente negli alimenti non trasformati).
  2. Mentre i naturali non hanno particolari controindicazioni al consumo, i raffinati, largamente aggiunti nelle produzioni industriali, sono riconosciuti come una delle cause che concorrono alla diffusione dell’obesità e di patologie correlate.

Il problema per la salute non è tanto nello zucchero in sé quanto nell’impiego smodato che l’industria alimentare ne fa per questioni di gusto, tecnologia di lavorazione e conservazione: gli zuccheri aggiunti agli alimenti hanno considerevolmente aumentato il consumo medio di zuccheri semplici.

Sotto la dicitura “zuccheri semplici” è possibile trovare sia gli zuccheri naturalmente presenti nell’alimento, sia le oltre 50 versioni con cui l’industria alimentare lo aggiunge tra gli ingredienti di snack, bevande e altri prodotti: sciroppo di glucosio, maltosio, destrosio, golden syrup, melasse, ecc.

L’abuso che le aziende fanno di zuccheri aggiunti ha reso quasi impossibile per un consumatore calcolare la quantità esatta di zuccheri che sta ingerendo.

Di seguito qualche dato per dare un’idea dell’entità del problema:

  • L’80% dei cibi trasformati contiene zuccheri aggiunti
  • +46% è l’aumento del consumo di zucchero a livello mondiale negli ultimi 30 anni (Fonte Credit Suisse Report, 2013)
  • 27 kg è il consumo annuo pro-capite di zucchero in Italia (Fonte OMS, 2015)

A questi dati si aggiungono quelli sullo stato di salute della popolazione italiana:

  • 10% degli italiani sono obesi (Fonte Rapporto Osservasalute, 2017)
  • 1 bambino su 3 è in sovrappeso (Fonte Ministero della Salute, 2016)
  • 3 milioni e 200 mila persone in Italia dichiarano di essere affette da diabete (Fonte Istat, 2016)

Come possiamo fare quindi per capire quanto zucchero stiamo effettivamente mangiando?

Contare i cucchiaini di zucchero è un gesto semplice, ma capace di grandi risultati.

Pur senza differenziare gli zuccheri naturali da quelli aggiunti, nelle tabelle nutrizionali dei prodotti alimentari sono sempre disponibili il numero di grammi di zuccheri semplici presenti.

Per farci un’idea di quanti zuccheri stiamo mangiando, basti pensare che un cucchiaino ne contiene mediamente 6 grammi e che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità 4-5 cucchiaini è la razione giornaliera consigliata per un adulto, che corrisponde a circa il 5% dell’introito energetico giornaliero.

  • Un bicchiere di bibita (200 ml) contiene mediamente 22 grammi di zuccheri, pari a 3,6 cucchiaini
  • Dieci grammi di caramelle ne contengono 6,2 grammi, pari a 1,2 cucchiaini
  • Una brioche dal peso di 37 grammi, contiene circa 9,5 grammi di zuccheri, pari a 1,6 cucchiaini
  • Un bicchiere di succo di frutta (200 ml) di zuccheri porta mediamente in dote 4 cucchiaini

Mentre la dannosità degli zuccheri aggiunti è ormai cosa nota, la stessa cosa non vale invece per gli zuccheri naturali su cui, ad oggi, l’OMS non esprime pareri negativi in quanto non esistono evidenze scientifiche a favore della loro dannosità. Calcolare i cucchiaini è un primo facile passo per capire quanto siamo abituati a superare il limite che l’OMS ha stabilito per tutelarci da uno zucchero impiegato dall’industria alimentare con troppa leggerezza.

Cambiare le proprie abitudini è sempre difficile, ma iniziare ad avere una maggiore consapevolezza dei propri comportamenti alimentari è un passo fondamentale. A tal proposito, la conta degli zuccheri può rappresentare un ottimo inizio.

Fonti e approfondimenti:

https://www.istat.it/it/archivio/202600

https://www.who.int/nutrition/publications/guidelines/sugar_intake_information_note_en.pdf?ua=1

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/loms-limitare-gli-zuccheri-aggiunti-non-piu-di-12-cucchiaini-al-giorno

Una Dieta Sostenibile è possibile: per noi e per il pianeta

Il 17 gennaio ad Oslo la Commissione EAT-Lancet ha presentato il report di un progetto di ricerca e revisione durato 3 anni il cui obiettivo era gettare le basi per la definizione di una dieta universale, sana e sostenibile dal punto di vista ambientale.

Questo studio si è rivelato necessario in quanto è sempre più evidente che la scelta del cibo e il modo in cui questo viene coltivato, trasformato, trasportato, consumato e sprecato influiscono in maniera evidente sullo stato di salute non solo delle persone, ma anche dell’intero pianeta.

Esistono forti evidenze a sostegno del fatto che le produzioni alimentari siano tra le maggiori produttrici di gas serra e tra i principali responsabili dei cambiamenti ambientali globali in particolare cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, sfruttamento delle acque dolci, interferenze con i cicli globali di azoto e fosforo e cambiamenti del sistema terrestre. Allo stesso tempo, diete non sane sono tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza di malattie come diabete, patologie cardiovascolari e tumori in tutto il mondo. Si stima che l’incidenza di una dieta sbagliata sulle cause di mortalità sia più alta di quella di alcol, droghe, tabacco e rapporti sessuali non protetti messi assieme. A questo si aggiunge il forte stato di denutrizione globale nei paesi in via di sviluppo: oggi infatti più di 800 milioni di persone non hanno cibo sufficiente per il proprio sostentamento, mentre molti altri paesi seguono regimi alimentari scorretti fatti di porzioni eccessive e alimenti combinati in maniera sbagliata che sono causa di insorgenza di sovrappeso e obesità.

Alla luce di queste considerazioni risulta evidente che la trasformazione del sistema alimentare debba essere radicale, urgente e indispensabile.

Per fare ciò la commissione si è concentrata su due aspetti fondamentali della filiera alimentare:

  • Consumo finale: identificare quale sia la dieta più idonea per mantenere lo stato di salute della popolazione

  • Produzione: identificare quali possano essere le modifiche da attuare alla filiera di produzione alimentare per renderla sostenibile

Il team, composto da oltre 30 tra i massimi esperti impegnati in diversi settori (salute umana, agricoltura, scienze politiche e sostenibilità ambientale) provenienti da tutto il mondo, ha lavorato per definire una dieta universale di riferimento per stimare gli effetti sulla salute e sull’ambiente derivati da una dieta alternativa, rispetto alle diete standard attuali spesso ad alto contenuto di alimenti trasformati e non sani.

Oltre ad avere effetti positivi sulla salute la dieta universale dovrà essere in grado di far fronte in maniera sostenibile alla forte crescita demografica prevista nei prossimi anni: le stime delle Nazioni Unite dicono infatti che entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà circa i 10 miliardi di persone.

I gruppi di lavoro della Commissione si sono interrogati su cinque temi fondamentali:

  • Che cos’è una dieta sana? Cioè una dieta basata su solide evidenze scientifiche che deve ottimizzare la salute, intesa non solo l’assenza di malattia ma come uno stato di benessere completo (fisico, mentale e sociale).
  • Cos’è un sistema alimentare sostenibile?
  • Quali sono le tendenze che danno forma alle diete oggi? Cioè cosa si trova effettivamente nei piatti delle persone nei diversi paesi del mondo.
  • Possiamo ottenere diete sane da sistemi alimentari sostenibili? Come?
  • Quali sono le soluzioni e le politiche che possiamo applicare? Una serie di linee guida che governi, imprese e consumatori dovrebbero seguire per raggiungere gli obiettivi in tema di salute e benessere del pianeta.

Il risultato è una dieta varia, con un apporto calorico giornaliero di 2500 kcal, che prende come modello base la dieta Mediterranea con alcuni aggiustamenti.

La dieta sana e “sostenibile” deve essere composta prevalentemente da una grande varietà di frutta, verdura e proteine di origine vegetale (frutta secca e legumi), ridotte quantità di alimenti di origine animale (quantità moderate di pesce e pollame, poca o nessuna quantità di carne rossa e carni lavorate), deve prediligere i grassi insaturi rispetto ai saturi e consumare quantità limitate di cereali raffinati, cibi altamente trasformati e zuccheri aggiunti.

Di seguito una tabella che riassume le indicazioni principali per una “dieta sostenibile”:

ALIMENTI Grammi Macronutrienti da assumere al giorno (possibile intervallo)

Apporto calorico (kcal) giornaliero

Cereali integrali 232 811
Tuberi o vegetali amidacei 50 (0-100) 39
Vegetali 300 (200-600) 78
Frutta 200 (100-300) 126
Prodotti lattiero-caseari 250 (0-500) 153
Carni rosse 14 (0-28) 30
Pollame 29 (0-58) 62
Uova 13 (0-25) 19
Pesce 28 (0-100) 40
Legumi 75 (0-100) 284
Frutta secca 50 (0-75) 291
Grassi insaturi 40 (20-80) 354
Grassi saturi 11.8 (0-11.8) 96
Zuccheri aggiunti 31 (0-31) 120

 

Questa trasformazione delle abitudini alimentari può verificarsi solo attraverso un’azione multisettoriale e multilivello che coinvolga tutta la filiera, dal produttore fino al consumatore finale.

I cambiamenti che devono essere attuati riguardano:

  • Un sostanziale spostamento delle abitudini alimentari verso schemi dietetici prettamente vegetali: una riduzione del 50% del consumo di carne e zucchero e un raddoppiamento dei consumi di frutta, verdura, frutta secca e legumi,

  • Una forte riduzione delle perdite alimentari e degli sprechi di cibo,

  • L’attuazione di importanti modifiche e miglioramenti nelle pratiche di produzione alimentare.

Il report si chiude con cinque strategie da attuare per rendere possibile la cosiddetta “Grande Trasformazione Alimentare”:

  1. E’ necessario che a livello nazionale ed internazionale ci si impegni nella promozione di un passaggio ad una dieta più sana.
  2. Ridefinire le priorità agricole: passare dalla produzione di grandi quantità di cibo alla produzione di cibo di qualità.
  3. Nuova rivoluzione agricola: aumentare in modo sostenibile la produzione di cibo di qualità, tramite l’innovazione dei sistemi.
  4. Amministrare in modo sostenibile, controllato e coordinato la terra e gli oceani, senza estendere ulteriormente i terreni adibiti all’agricoltura e sfruttare le risorse ittiche in maniera incontrollata.
  5. Dimezzare gli sprechi alimentari su tutti i livelli, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

I dati disponibili ad oggi sono già più che sufficienti per giustificare un’azione immediata; se non viene fatto nulla in proposito le generazioni future finiranno con l’ereditare un mondo gravemente degradato dove gran parte della popolazione soffrirà di malnutrizione e malattie prevenibili.

La Grande Trasformazione Alimentare è sia necessaria che realizzabile.

Euro Company si trova perfettamente in linea con i risultati emersi da questo studio: è indispensabile che l’intera industria alimentare si ponga come obiettivo quello di produrre alimenti più sani e  genuini e di farlo in maniera attenta e sostenibile

  • Ogni giorno infatti ci preoccupiamo che la nostra frutta secca e i nostri prodotti 100% vegetali siano buoni, il meno manipolati possibile e senza zuccheri aggiunti, mantenendo solo gli zuccheri naturali della frutta.
  • A livello produttivo acquistiamo energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e abbiamo ridotto del 15% le nostre emissioni di CO2.
  • In 2 anni abbiamo ridotto di 24 tonnellate di rifiuti da imballaggio e contiamo di rendere i nostri packaging 100% compostabili entro il 2020.

Ogni azienda e ogni individuo dovrebbe fare la sua parte in questo progetto ambizioso, per il bene nostro e del nostro pianeta.

Walter Willett, Johan Rockström, Brent Loken, Marco Springmann, Tim Lang, Sonja Vermeulen, Tara Garnett, David Tilman, Fabrice DeClerck, Amanda Wood, Malin Jonell, Michael Clark, Line J Gordon, Jessica Fanzo, Corinna Hawkes, Rami Zurayk, Juan A Rivera, Wim De Vries, Lindiwe Majele Sibanda, Ashkan Afshin, Abhishek Chaudhary, Mario Herrero, Rina Agustina, Francesco Branca, Anna Lartey, Shenggen Fan, Beatrice Crona, Elizabeth Fox, Victoria Bignet, Max Troell, Therese Lindahl, Sudhvir Singh, Sarah E Cornell, K Srinath Reddy, Sunita Narain, Sania Nishtar, Christopher J L Murray; Food in the Anthropocene: the EAT–Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems; The Lancet Commissions; January 16, 2019.