Linee guida sulla sana alimentazione: False credenze sul peso

Condizioni di sovrappeso e obesità, ma anche l’eccessiva magrezza o l’anoressia rappresentano uno dei principali fattori di rischio per la salute della società moderna.

Gli squilibri alimentari in eccesso e in difetto sono infatti spesso associati all’insorgenza di diverse patologie gravi e croniche a carico di tutto l’organismo: malattie del sistema cardiovascolare, diabete, alcune forme di cancro, amenorrea, infertilità, osteoporosi, disfunzioni endocrine e moltissime altre.

La regolazione del peso corporeo è un insieme complesso di variabili fisiologiche, metaboliche, ambientali, comportamentali e genetiche, che controllano quanta energia introduciamo nel nostro organismo e quanta ne spendiamo.

Il comportamento alimentare oggi non è più solo regolato dal solo senso di fame o sazietà, come avveniva per i nostri lontani parenti preistorici, ma sono ormai moltissimi i fattori psicologici che influenzano il nostro rapporto con il cibo: l’influenza di altre persone, la pressione sociale, lo stile di vita, i media, il marketing, ecc.

L’alimentazione è un argomento molto scottante ed è continuamente sulla bocca di tutti.

Questo costante bombardamento di stimoli ed informazioni influenza il rapporto che le persone hanno con il cibo e porta alla nascita e alla diffusione di moltissimi falsi miti che spesso purtroppo vengono ingigantiti dai media e sfruttati in maniera errata da sedicenti “esperti della salute”, privi di qualsiasi titolo riconosciuto.

Le Linee guida per una sana alimentazione, redatte e rilasciate da un gruppo di esperti del CREA, cercano di sfatare alcuni falsi miti sul peso corporeo e di dare alle persone gli strumenti per capire che il cibo non è un nemico, ma anzi è uno dei nostri principali alleati per rimanere in salute.

Di seguito 8 delle più famose false credenze sul peso che spesso portano a comportamenti sbagliati:

  • Non è vero che l’eccesso di peso deriva dalla cosiddetta “ossatura grossa”.

    Il peso delle ossa rappresenta una proporzione abbastanza costante del nostro peso, circa il 15% nei maschi e il 12% nelle femmine. Inoltre, il tessuto osseo si è sviluppato per fornire la massima robustezza e flessibilità con il minimo del peso.

  • Non è vero che dimagrire è inutile e che si riprendono sempre i kg persi.

    Ignorare un aumento di peso eccessivo è sempre sbagliato, è ovvio che per rendere permanente il calo è fondamentale cambiare il proprio stile di vita e la propria alimentazione in favore di uno stile di vita più sano e bilanciato.

  • Non è vero che, visto che l’obesità può avere una componente genetica, non ci si può fare niente.

    Nonostante la genetica giochi un ruolo nella predisposizione all’obesità, ad influire sul peso sono principalmente le cattive abitudini alimentari trasmesse dai genitori ai figli.

  • Non è vero che indossare tute, panciere, fasce o pellicole di plastica aiuti a dimagrire.

    La perdita che avviene è prevalentemente di acqua tramite sudore, che viene recuperata velocemente: il sudore è segno che stiamo bruciando calorie, ma non ne è la causa.

  • Non è vero che svolgere esercizio fisico ci autorizza a mangiare di più.

    Sopravvalutare il dispendio energetico che ci assicura l’esercizio fisico è un errore. L’attività fisica, più che per perdere peso, serve a tonificare la massa magra e normalizzare i parametri ematici.

  • Non è vero che diete dimagranti ripetute causano anoressia o disturbi dell’alimentazione.

    In molti casi i circuiti mentali che portano all’anoressia si instaurano senza che prima sia stata seguita alcun tipo di dieta.

  • Non è vero che i disturbi alimentari si risolvono solo con la buona volontà.

    Chi soffre di questi disturbi spesso non è in grado di controllarli e necessita dell’aiuto di uno specialista.

  • Non è vero che la magrezza è l’unico sintomo evidente di un disturbo alimentare.

    Spesso l’insorgenza di un disturbo alimentare è associata ad una visione distorta del proprio corpo, che sfocia in un rapporto conflittuale con il cibo che porta a comportamenti compulsivi non sempre orientati alla privazione. Ad esempio, l’eccessiva magrezza non è sempre un sintomo che si manifesta in una persona affetta da bulimia.

Fonti e approfondimenti:

www.crea.gov.it/web/alimenti-e-nutrizione/-/linee-guida-per-una-sana-alimentazione-2018

 

Dieta chetogenica: sì o no? Fra mito e realtà.

La maggior parte delle persone, soprattutto nel mese di gennaio, inizia una dieta: chi per perdere quei due-tre chili di troppo accumulati durante le feste, chi perché da tempo ha deciso di intraprendere un percorso atto a raggiungere il proprio peso forma e chi perché ha inserito il “rimettersi in forma” fra i buoni propositi per il 2020.

È quindi abbastanza normale che i media siano tempestati di diete detox e soluzioni miracolose, soprattutto considerando quanto sia difficile perdere peso e quanto sia complesso il percorso di una persona che decidere di seguire una dieta.

Spesso, infatti, i regimi dietetici sono molto rigidi e alcuni regimi alimentari “vecchio stile” non tengono in considerazioni i gusti del paziente, obbligandolo a consumare alimenti che non sono di suo gradimento, e soprattutto non sempre si riesce a mantenere il peso perso nel corso del tempo.

Negli ultimi anni un regime alimentare che ha riscosso molto interesse e di cui si sente parlare sempre più spesso è il low carb, cioè la cosiddetta cheto-dieta o dieta chetogenica.

Si definisce dieta chetogenica “un regime alimentare che fornisce in genere meno di 800 kcal/die e con un apporto di carboidrati compreso fra i 20 e i 50g/die”. Significa quindi che dal 60 al 90% dell’energia per l’organismo viene assunta sotto forma soprattutto di grassi e di proteine.

Questo tipo di dieta induce nell’organismo quello che viene definito uno stato di “chetosi”, cioè il corpo smette di utilizzare gli zuccheri come fonte di energia e, mentre il resto dell’organismo inizia a sfruttare le riserve di grasso, il sistema nervoso inizia ad impiegare i corpi chetonici prodotti dal metabolismo come fonte di energia.

In origine questa dieta era stata ideata, con successo, come trattamento per alcune forme di epilessia resistente ai farmaci e come trattamento per gravi obesi che non riuscivano a perdere peso seguendo un regime ipocalorico bilanciato; dato che porta buoni risultati anche in termini di calo ponderale rapido, oggi viene adottata in maniera indiscriminata da molte persone normopeso come dieta atta al dimagrimento.

Nel momento in cui si decide di adottare un regime alimentare di tipo chetogenico sicuramente la prima cosa che si nota è effettivamente un calo di peso molto rapido.

Questa riduzione è dovuta principalmente ad una perdita di liquidi legata alla variazione metabolica che questa dieta induce nell’organismo. Inoltre, diversamente da molte diete dimagranti ipocaloriche, la dieta chetogenica non causa “senso di fame” grazie all’assunzione di grassi che prolungano il senso di sazietà.

In seguito a queste considerazioni è facile capire come mai questo regime alimentare abbia riscosso così tanto successo e come mai sembra essere così ben tollerato dai più. Perdere peso senza contemporaneamente patire la fame il tutto in un’unica dieta, cosa si può volere di più?

In realtà, come per la maggior parte delle cose, c’è un rovescio della medaglia: molti ignorano il fatto che un regime alimentare di questo tipo adottato in maniera non bilanciata, non controllata e protratto sul lungo periodo, può causare danni ai reni, all’apparato circolatorio e a gravi carenze nutrizionali.

Come sottolinea, in un’intervista sul Fatto Alimentare, la dottoressa Lucilla Titta (nutrizionista e ricercatrice dello IEO – istituto oncologico europeo) le diete chetogeniche prevedono un massiccio consumo di alimenti di origine animale: questo, oltre ad avere un impatto negativo dal punto di vista ambientale, riduce considerevolmente il consumo di frutta, verdura e cereali integrali con conseguente scarso apporto di fibra, minerali e vitamine.

Spesso anche il consumo di latticini è scarso e ridotto solo a yogurt e latte magro, questo aumenta il rischio di patologie legate al sistema scheletrico.

Un altro aspetto da tenere in considerazione, e che viene spesso ignorato, è l’impatto psicologico che questa dieta può avere su alcuni pazienti. Si è visto infatti che per alcuni utenti più fragili, protrarre una dieta chetogenica per diverso tempo è molto pesante da tollerare: i pazienti, dopo un’alternanza di periodi di totale assenza di carboidrati e periodi di improvvise abbuffate, iniziano a considerare i carboidrati un cibo cattivo inducendo un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire.

Nonostante questo, però la letteratura scientifica relativa agli effetti collaterali delle diete chetogeniche bilanciate è ad oggi ancora insufficiente. Se si decide di seguire un regime low carb con lo scopo di perdere peso, e in assenza di patologie particolari, è necessario applicarlo con parsimonia, farsi seguire da uno specialista e adottarlo per periodi di tempo limitati. Il paziente va preventivamente valutato dal punto di vista clinico e dovrebbe essere seguito attentamente durante tutto il corso della dieta.

Relativamente all’aspetto psicologico le diete chetogeniche “fai da te” (quindi attuate in maniera sconsiderata, senza l’ausilio di uno specialista e affidandosi a diete standardizzate o indicazioni trovate su internet) possono considerarsi al limite del diseducativo: non insegnano nulla sul gestire in maniera bilanciata la propria alimentazione ed infatti, nonostante nel modello di dieta chetogenica corretto i carboidrati debbano essere reintrodotti nel corso del tempo, capita che negli utenti rimanga insita l’idea che i carboidrati siano nutrienti dannosi, da evitare, e questo porta ad un regime low carb protratto ad oltranza.

Inoltre, come non esistono evidenze certe della dannosità della cheto-dieta, non esistono nemmeno prove sufficienti che i risultati ottenuti seguendo un regime alimentare low carb siano migliori e più duraturi rispetto a quelli raggiunti con una normale dieta bilanciata.

Per utilizzare le parole della dottoressa Titta “le conoscenze attuali non giustificano l’idea che le diete low carb siano più efficaci di altri regimi per perdere peso, e tanto meno che permettano di stabilizzarsi sul peso desiderato”.

Per riuscire a perdere peso in modo duraturo è più utile seguire un regime ipocalorico in cui però siano rappresentati tutti i diversi nutrienti: carboidrati, grassi e proteine.

Se si impara a mangiare correttamente e si associa alla sana alimentazione un adeguato livello di attività fisica, questo dovrebbe diventare lo stile di vita corretto da seguire in maniera continuativa e stabile per tutta la vita, evitando così di andare incontro a carenze nutrizionali e godendosi allo stesso tempo i piaceri gastronomici.

Fonti e approfondimenti:

https://ilfattoalimentare.it/dieta-chetogenica-terapia-moda.html

https://ilfattoalimentare.it/diete-low-carb.html

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/epilessia-in-quali-casi-puo-essere-utile-la-dieta-chetogenica

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/lesperto-risponde/dieta-chetogenica-di-cosa-si-tratta

https://www.mauriziotommasini.it/dieta-chetogenica/

 

 

Cibi ultra-processati, diabete e insonnia: un consumo eccessivo incide negativamente sulla salute, come “difendersi”

In un’epoca in cui la mancanza di tempo rende il fare la spesa e il cucinare imprese quasi impossibili per buona parte delle persone, gli alimenti ultra-processati e preconfezionati sembrano rappresentare la soluzione ideale per risolvere il problema: poca spesa e molta resa.

Gli alimenti ultra-trasformati, cioè tutti quei prodotti industriali lavorati e confezionati caratterizzati da lunghissimi tempi di conservazione, con liste di ingredienti costituite da cinque o più elementi (tra cui grassi, zuccheri, stabilizzanti, conservanti e additivi), sono pratici, veloci da preparare, economici e, di conseguenza, molto diffusi nelle diete occidentali.

Quello che la maggior parte dei consumatori non tiene in considerazione è che quasi mai “molto economico” e “salutare” sono aspetti che viaggiano in parallelo, soprattutto quando si parla di alimentazione, e a farne le spese è la nostra salute.

Nell’elenco degli alimenti considerati “ultra-processati” figurano prodotti appartenenti alle più disparate categorie merceologiche: bevande gassate e bibite, succhi di frutta con zuccheri aggiunti, snack dolci e salati, gelati confezionati, caramelle, prodotti da forno industriali (biscotti, pane in cassetta, torte, ecc.), cereali da colazione, margarine, prodotti a base di carni ricostruite (ad esempio würstel e crocchette di pollo) o di pesce (bastoncini di pesce), zuppe in scatola e molti altri.

Negli ultimi anni un elevato consumo di questo tipo di prodotti è stato spesso associato ad un aumento del rischio di mortalità per qualsiasi causa e all’aumento del rischio di insorgenza di malattie croniche fra cui alcune forme di cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione e dislipidemie.

Molti sono gli studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche che trattano questo aspetto, fra gli ultimi uno studio prospettico sul rischio di insorgenza di diabete di tipo 2 associato al consumo di alimenti ultra-trasformati pubblicato nel mese di dicembre sul JAMA Internal Medicine:

In questo studio sono stati coinvolti 104.707 partecipanti. I dati sulle abitudini alimentari sono stati raccolti compilando dei registri dietetici ripetuti su 24 ore, progettati per monitorare il consumo abituale di oltre 3.500 alimenti diversi. Tramite il sistema NOVA (un sistema di classificazione validato sviluppato dall’Università di San Paolo in Brasile) i diversi alimenti sono stati catalogati in base al loro livello di elaborazione. Si è visto che mediamente la dieta di tutti i partecipanti era costituita per circa il 17% da alimenti ultra-trasformati. Alla fine del periodo di osservazione si è visto come ad un aumento del 10% del consumo di alimenti ultra-trasformati, corrispondeva un aumento del 15% del rischio di insorgenza di diabete.

Un altro studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition ha analizzato l’associazione fra il consumo di alimenti ultra-processati, ricchi di amidi raffinati e zuccheri aggiunti (quindi ad alto indice glicemico) con l’incidenza di insonnia in oltre 50 mila donne in menopausa: lo studio partiva dall’ipotesi che un aumento del carico glicemico a livello gastrointestinale corrispondeva una maggiore probabilità di soffrire di insonnia. Alla fine dello studio è risultato che effettivamente i soggetti che consumavano abitualmente più amidi raffinati e zuccheri aggiunti soffrivano più spesso di insonnia, mentre quelli che avevano una dieta costituita prevalentemente da alimenti semplici, naturali, ricchi di fibre e poco processati godevano di una qualità del sonno nettamente superiore.

Questi due recenti studi non fanno altro che confermare quello che era già noto: il consumo abituale ed eccessivo di alimenti industriali ultra-trasformati è dannoso.

Il motivo di questo impatto negativo è dovuto al fatto che in generale i cibi ultra-processati sono allo stesso tempo molto calorici e poveri di fibre, micronutrienti e fitocomposti, hanno un elevato indice glicemico e sono ricchissimi di grassi alimentari, zuccheri aggiunti, sale, aromi ed esaltatori di sapidità.

Il loro consumo incide su moltissimi aspetti della nostra salute, anche quelli meno noti ed evidenti, inoltre spesso questi cibi innescano il principio di food addiction (circuito di dipendenza innescato da alimenti altamente appetibili) e consumo compulsivo (binge eating) e questo avviene già a partire dall’età pediatrica che rappresenta la fascia di età maggiormente sedotta dal fascino e dal gusto di questo tipo di alimenti.

Come fare ad evitare di incorrere in questi problemi?

Bisogna riappropriarsi di un’alimentazione vera.

Quando la quantità di tempo a disposizione lo permette è preferibile acquistare alimenti “naturali”, crudi e freschi cucinandoli e assemblandoli tenendo in considerazione che:

  • I pasti devono essere bilanciati;
  • Le porzioni devono essere calcolate in base al sesso, allo stile di vita e al livello di attività fisica svolto;
  • Bisogna fare attenzione ai condimenti (sale, zucchero, olio, ecc.) e riscoprire le spezie che non aggiungono calorie e allo stesso tempo danno gusto ai piatti;
  • I pasti devono contenere tutti i macro- e micro-nutrienti fondamentali: carboidrati, grassi, proteine, fibre, vitamine e sali minerali.

Quando il tempo scarseggia e si sceglie di ricorrere ad alimenti preconfezionati è buona norma leggere attentamente le etichette nutrizionali.

Esistono infatti in commercio prodotti trasformati e confezionati di buona qualità e che possono essere inseriti all’interno di un regime alimentare bilanciato, sono i cosiddetti cibi minimamente trasformati (come ad esempio la lattuga in busta, le verdure già tagliate, minestroni e verdure surgelate, alcuni prodotti in scatola, ecc.).

Per riuscire ad orientarsi in questo mondo l’unico modo è assicurarsi che quello che si sta scegliendo di acquistare non sia solo gustoso e veloce da preparare, ma che contenga al suo interno solo ingredienti che riusciamo a riconoscere, che abbia un basso contenuto di zuccheri semplici e sale, che non contenga esaltatori di sapidità che spesso vengono aggiunti per dare sapore a prodotti in generale “poveri”, che gli oli aggiunti siano di buona qualità e in quantità moderate e, non meno importante, leggere attentamente le indicazioni per lo smaltimento differenziato degli imballaggi e delle confezioni.

I cibi trasformati fanno parte della nostra vita sempre più frenetica e di corsa, la cosa importante è saper scegliere.

 

Fonti e approfondimenti:

https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2757497

https://academic.oup.com/ajcn/advance-article-abstract/doi/10.1093/ajcn/nqz275/5673520?redirectedFrom=fulltext

http://blog.lalvearechedicesi.it/2018/10/11/cibi-processati-cosa-sono-e-perche-evitarli/

https://ilfattoalimentare.it/alimenti-ultra-trasformati-diabete-insonnia.html

www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/alimenti-ultra-processati-e-dipendenza-da-cibo-studio-scientifico

www.scienzemotorie.com/cibi-trasformati-conoscerli-e-saperli-utilizzare/

Antibiotico-resistenza: in Italia più morti degli incidenti stradali.

In occasione dello European Antibiotic Awareness Day, tenutasi il 18 novembre, e della Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici (World Antibiotic Awareness Week), dal 18 al 24 novembre, si sono accesi i riflettori su un argomento troppo spesso ignorato: l’antibiotico-resistenza, che nel nostro paese si sta trasformando in un grave problema di salute pubblica.

I dati raccolti nel 2018 e forniti, in occasione di queste giornate, dall’Istituto Superiore di Sanità sono allarmanti: infatti, mentre in Europa il tasso di antibiotico resistenza è in calo, in Italia il numero delle morti imputabili alla resistenza di alcuni ceppi batterici agli antibiotici è il triplo di quelle dovute ad incidenti stradali. Questi valori collocano l’Italia in cima alla classifica dei paesi con il più alto tasso di antibiotico-resistenza d’Europa, su 33.000 decessi che avvengono in UE per antibiotico-resistenza infatti oltre 10.000 si registrano nel nostro Paese.

Ma che cos’è esattamente l’antibiotico-resistenza?

Gli antimicrobici, comunemente chiamati antibiotici, sono farmaci utilizzati per distruggere i batteri patogeni o per impedirne la crescita e la diffusione.

Questo tipo di farmaci viene utilizzato nel trattamento sia degli umani che degli animali, in particolare negli allevamenti, per curare le malattie dovute ad infezioni batteriche.

L’impiego massiccio di antibiotici ha fatto sì che alcuni batteri patogeni, nel tempo, acquisissero e sviluppassero meccanismi di difesa che gli permettono di sopravvivere e moltiplicarsi anche in presenza di farmaci e questo fenomeno prende il nome di antibiotico-resistenza.

I meccanismi di difesa sono “scritti” e codificati in specifici geni trasmissibili da un batterio all’altro.

Il fenomeno della resistenza inoltre non riguarda solo i patogeni, ma anche i cosiddetti batteri commensali (quelli che vivono sulla nostra pelle, nelle mucose e nell’intestino) che amplificano la diffusione dei geni della resistenza poiché possono scambiare materiale genico anche con batteri di ceppi diversi.

Questi “scambi” fanno sì che, con il tempo, alcuni ceppi batterici acquisiscano un vero e proprio “arsenale” di geni difensivi la cui espressione rende sempre più scarsa l’efficacia degli attuali farmaci antibiotici disponibili.

A volte si instaura anche un fenomeno di multi-resistenza e ciò accade quando lo stesso batterio non è resistente ad una sola tipologia di antibiotici, ma a molti (almeno tre). Questo favorisce ulteriormente l’aumento e la diffusione delle infezioni rendendo contemporaneamente molto più difficile combatterle.

Ma quali sono le cause alla base della proliferazione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici?

L’abuso, l’auto-prescrizione, le prescrizioni massicce e, a volte, superflue, il non seguire le indicazioni del medico, le terapie “fai da te” e la difficoltà di controllo delle infezioni nelle strutture di assistenza sanitaria sono tra le principali cause dello sviluppo dell’antibiotico-resistenza.

L’eccessivo uso di antibiotici non è una problematica che coinvolge solo il settore della medicina umana. La somministrazione di antibiotici agli animali da allevamento (polli, tacchini e suini in particolare), per evitare la comparsa di malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi, è anch’essa causa della diffusione.

Spesso gli antibiotici impiegati per curare e prevenire le infezioni batteriche negli animali appartengono alle stesse classi di quelli usati per l’uomo ed è quindi possibile che i batteri resistenti sviluppatisi negli animali siano trasmessi agli esseri umani attraverso il cibo contaminato.

Per prevenire lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza ed evitare di infettarsi con batteri resistenti è fondamentale seguire alcune semplici regole:

  1. Non chiedere antibiotici al proprio medico di famiglia se questo/a non li ha prescritti,

  2. Seguire esclusivamente le indicazioni del medico,

  3. Completare l’intero ciclo di cura,

  4. Non prendere antibiotici di propria iniziativa senza prescrizione,

  5. Non prendere mai gli antibiotici prescritti per un’altra persona,

  6. Fare attenzione all’igiene: lavarsi spesso le mani con acqua e sapone, soprattutto dopo aver usato il bagno, prima di mangiare, prima di preparare i cibi e dopo la manipolazione di carni crude,

  7. I prodotti alimentari di origine animale sono spesso contaminati da batteri e possono costituire una via di trasmissione anche di batteri antibiotico-resistenti,

  8. La frutta e la verdura, se venute a contatto con rifiuti animali o acqua contaminata, possono essere una via di trasmissione ed è quindi importante lavarle sempre bene e mantenere le superfici di lavoro della cucina pulite.

Seguire queste semplici regole può contribuire sia ad evitare di entrare in contatto con batteri potenzialmente patogeni sia di ostacolare lo sviluppo di antibiotico-resistenze.

Se tutti, cittadini, medici e allevatori, si impegnassero a ridurre l’impiego di antibiotici quando non necessari il tasso di sviluppo di ceppi batteri antibiotico-resistenti e delle conseguenti infezioni si ridurrebbe in maniera significativa.

Fonti e approfondimenti:

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/a/antibiotico-resistenza#conseguenze-dell%E2%80%99antibiotico-resistenza

https://www.ilsole24ore.com/art/abuso-antibiotici-10mila-morti-anno-italia-triplo-incidenti-stradali-AC6RW1z?fromSearch

 

Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2019

Nel 2019 esistono ancora paesi in cui quasi il 50% della popolazione, soprattutto bambini, vive in condizioni di denutrizione. Sono più di 820 milioni nel mondo le persone che non hanno accesso a cibo di qualità e ad una dieta equilibrata, indispensabile per la normale crescita, sviluppo e mantenimento di tutto l’organismo.

Al contrario, mentre nei paesi in via di sviluppo le persone faticano ogni giorno per racimolare una quantità di cibo sufficiente alla sopravvivenza, nei paesi occidentali l’obesità infantile dilaga raggiungendo livelli allarmanti diventando ogni giorno un problema sempre più rilevante di sanità pubblica. Basti pensare che, solo nel nostro paese, la percentuale di bambini malnutriti e sovrappeso fra i 5 e i 19 anni è del 36,8%, (un aumento del 39,1% rispetto a dieci anni fa). Allo stesso tempo circa il 14% di tutto il cibo prodotto nel mondo viene gettato ancora prima di raggiungere lo scaffale dei punti vendita a causa di problematiche che insorgono nelle fasi produttive, di trasporto e di stoccaggio.

Alimentazione squilibrata e spreco alimentare sono solo alcuni dei temi che vengono trattati oggi, 16 ottobre, nella giornata mondiale dell’alimentazione.

Istituita come ricorrenza per celebrare la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – FAO (16 ottobre 1945), nel corso degli anni ha coinvolto più di 150 paesi nel mondo trasformandola, da semplice anniversario, in una vera e propria giornata dedicata alla sensibilizzazione su problematiche che affliggono la nostra società: povertà, fame, denutrizione e malnutrizione, ma anche sicurezza e legislazione alimentare, sostenibilità ambientale delle produzioni, food waste e alimentazione equilibrata.

La diffusione di diete nutrienti, equilibrate e sostenibili per tutti rappresenta il tema cruciale di questa giornata: la cura dell’alimentazione è la prima forma di prevenzione nei confronti di molte patologie croniche come diabete, ipertensione, sindrome metabolica, obesità e anche diverse forme tumorali.

Allo stesso tempo limitare gli sprechi e fare in modo che la produzione alimentare sia sostenibile per il pianeta e accessibile a tutti è un impegno da cui nessun paese può più sottrarsi ed è proprio questo il tema della giornata mondiale dell’alimentazione 2019.

Il progetto è grande ed ambizioso, per questo è indispensabile che la società venga coinvolta su tutti i livelli: dai governi all’intera filiera produttiva, fino al consumatore finale.

Ognuno infatti, nel suo piccolo, può contribuire al raggiungimento dell’impegno fissato per l’Agenda 2030 e a questo scopo la FAO ha condiviso sul suo sito un elenco di linee guida da applicare nel quotidiano per iniziare a fare del bene a noi stessi e al mondo:

  1. Scelte dietetiche:
  • Segui le linee guida per una sana alimentazione del tuo paese, forniscono consigli su come assicurarti di assumere abbastanza nutrienti per vivere una vita in salute.
  • Aggiungi verdure, frutta, legumi, noci e cereali integrali alla tua dieta: oltre che essere benefici per il nostro organismo sono anche migliori per il pianeta!
  • Tagliare su amidi raffinati, zucchero, grassi e sale: in generale riduci il consumo di alimenti ultra-trasformati e di derivati animali, ne beneficerà il tuo corpo e anche il pianeta.
  • Scambia cibi raffinati con opzioni “integrali” più ricchi di nutrienti.
  • Conosci i tuoi grassi: sostituisci i grassi saturi con i grassi insaturi ed evita il consumo di grassi trans, presenti soprattutto in prodotti confezionati.
  1. Scelte del pianeta:
  • Riduci la tua impronta alimentare: l’impatto ambientale dei cibi che mangiamo varia da prodotto a prodotto. Alcuni alimenti richiedono l’impiego di molte più risorse naturali, come l’acqua, per la loro produzione rispetto ad altri. Le produzioni animali, ad esempio, impiegano molte più risorse rispetto a quelle necessarie per le produzioni vegetali.
  • Evita di acquistare alimenti con quantità eccessive di imballaggio, utilizza contenitori e sacchetti riutilizzabili.
  • Diversifica la tua dieta: favorisci i prodotti tradizionali, locali e stagionali, sostieni la biodiversità della tua area geografica!
  • Mangia pesce di provenienza sostenibile: il pesce è un’ottima fonte di proteine e omega-3, ma è bene prediligere pesci derivati da pesca locale e, se si sceglie di consumare pesce di allevamento, assicurarti che derivi da allevamenti eco-sostenibili e che esibisca un certificato di qualità.
  • Conservare e sprecare meno: evita di sprecare il cibo, acquista solo quello che ti serve e se avanza del cibo non gettarlo, ma conservalo in frigo o in freezer e riutilizzalo. Leggi bene le indicazioni per la conservazione e la scadenza e utilizza contenitori ermetici e riutilizzabili per conservare gli avanzi.
  1. Scelte di vita:
  • Mangia in compagnia e cucina a casa. Fa bene alla salute e all’umore!
  • Impara a leggere le etichette: sono la carta d’identità dell’alimento e danno indicazioni su energia, nutrienti, ingredienti, conservazione e scadenza. Saperle leggere ci può aiutare a fare delle scelte più consapevoli e a sprecare di meno.
  • Non lasciarti influenzare dagli imballaggi o dalla pubblicità.
  • Fai attività fisica per almeno 30 minuti, ogni giorno.
  • Richiedi pasti e snack più salutari: nelle mense (sia scolastiche che aziendali) e nei distributori automatici chiedi che siano forniti prodotti salutari e nutrienti.
  • Parla alle persone, condividi le tue conoscenze e la tua passione per il cibo: il cibo connette tutti!

“Fame Zero va oltre la fame, significa garantire cibo nutriente per tutti dovunque, è necessario intervenire affinché un’alimentazione sana sia disponibile per tutti. Le nostre azioni sono il nostro futuro!

 

#ZeroHunger

#FameZero

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.fao.org/sustainable-development-goals/goals/goal-2/en/

http://www.fao.org/3/ca5268it/ca5268it.pdf

www.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/italia_bambini_obesi_unicef-238581950/

https://www.focus.it/comportamento/economia/giornata-mondiale-alimentazione-fao-perdite-mondiali-di-cibo

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2019/10/15/domani-giornata-mondiale-alimentazione-obiettivo-fame-zero_cfb09ea8-1660-4247-9d50-3c00cdf8acdf.html

 

 

 

Facciamo chiarezza: cos’è la shelf-life di un prodotto alimentare?

Capita sempre più spesso di sentire parlare di “shelf-life” di un prodotto alimentare, ma che cosa significa esattamente shelf-life?

L’IZSVe (Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie) ha pubblicato un video che funge da semplice guida utile per muoversi attraverso le diverse diciture che si possono incontrare sulle confezioni dei prodotti alimentari acquistabili nei negozi e nella grande distribuzione.

Shelf-life significa letteralmente “vita di scaffale” e si utilizza per indicare la vita commerciale del prodotto, ovvero il tempo che intercorre fra la produzione e il consumo del prodotto stesso senza che vi siano rischi per la salute del consumatore.

Con il passare del tempo nel prodotto avvengono delle modifiche che causano un decadimento della sua qualità (gusto, consistenza, colore, ecc.), ma queste modifiche organolettiche non devono in alcun modo compromettere la sua sicurezza igienico sanitaria.

La shelf life di un prodotto alimentare dipende quindi dalle sue caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche:

  • Composizione;
  • Contenuto d’acqua;
  • Trattamenti di conservazione;
  • Tipo di confezionamento.

La durata della shelf-life deve essere individuata dal produttore (in seguito a prove di laboratorio) e deve essere indicata sulla confezione:

  • Data di scadenza -> “da consumarsi entro il…“:  viene utilizzata su tutti quegli alimenti che sono freschi e deperibili, la data di scadenza indica che oltre la data indicata l’alimento non è più sicuro dal punto di vista sanitario e consumandolo si incorre nel rischio di tossinfezioni;

  • Tmc (termine minimo di conservazione) -> “da consumarsi preferibilmente entro il…“: viene utilizzato per i cosiddetti “alimenti stabili” e significa che oltre quella data può esserci un decadimento organolettico del prodotto e deve quindi essere consumato il prima possibile, ma non ci sono rischi per la salute.

Alla luce di questa differenza è evidente che leggere le etichette dei prodotti alimentari che acquistiamo è fondamentale non solo per evitare rischi per la salute, ma anche per limitare lo spreco.

Capita infatti spesso che, per un errore di interpretazione delle etichette, vengano gettati nei rifiuti alimenti ancora perfettamente commestibili solo per paura che possano essere dannosi per la salute.

Imparare a leggere le etichette dei prodotti alimentari serve quindi non solo ad aiutarci a vivere in salute, ma contribuisce anche alla salute del pianeta.

Fonti e approfondimenti:

https://www.youtube.com/channel/UCZ5EUOiFj2fHpKU-H0ZtJPw 

British Nutrition Foundation: 9 consigli per mantenere il cuore in salute

Le malattie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di morte in Italia e nel mondo.

Sono responsabili di circa il 44% di tutti i decessi, in particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia (28% di tutte le morti) mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori.

La causa principale di infarti e ictus è nota come aterosclerosi, cioè l’accumulo di grasso all’interno della parete delle arterie che riforniscono di sangue il cuore.

L’accumulo di grasso provoca un restringimento del lume vascolare e un irrigidimento della parete del vaso sanguigno e questo porta ad una riduzione del flusso sanguigno diretto al cuore. L’eventuale distaccamento di placche di materiale grasso, inoltre, può portare alla formazione di coaguli con il rischio di trombosi (blocco dell’arteria) che è causa di infarto. Se invece la rottura o blocco dell’arteria avviene nel cervello si parla di ictus.

La British Nutrition Foundation ha stilato un elenco di consigli utili per i consumatori interessati a sapere come mangiare e vivere bene per mantenere il cuore e, in generale, il sistema cardiocircolatorio in salute:

  1. Consumare troppi grassi saturi può portare ad un aumento del colesterolo circolante. È possibile ridurre il consumo di grassi saturi sostituendoli con grassi insaturi, ad esempio sostituire il burro e l’olio di cocco (quest’ultimo presente in molti prodotti industriali) con olio di oliva, di semi di girasole e di arachidi;

  2. È dimostrato che il consumo di grassi trans abbia un effetto avverso sul colesterolo circolante. I grassi trans si trovano principalmente nei grassi vegetali parzialmente idrogenati presenti nei prodotti industriali. È quindi importante assicurarsi che i prodotti industriali che si decide di acquistare e consumare non contengano grassi idrogenati;

  3. È importante consumare pesce due volte alla settimana (2 x 140g), di cui uno dovrebbe essere un pesce grasso (sgombro, salmone o sardine). Il pesce è la principale fonte alimentare di acidi grassi omega-3 a catena lunga;

  4. Bisogna fare attenzione alle quantità di sale: la dose giornaliera consigliata di sale dovrebbe essere inferiore ai 6 g al giorno. Per rientrare nei limiti è necessario controllare le etichette nutrizionali dei prodotti che si acquistano e dosare il sale che si utilizza in cucina e a casa. Il sale è la principale fonte di sodio nella dieta e un elevato apporto di sodio è correlato all’ipertensione;

  5. E’ importante inserire nella propria dieta cibi integrali e ricchi di fibre fra cui cereali per la colazione integrali, pasta integrale e legumi. Anche frutta e verdura sono delle ottime fonti di fibre e non devono mai mancare nella dieta quotidiana;

  6. Non fumare. Le sostanze chimiche contenute nel fumo riducono la quantità di ossigeno che il sangue può trasportare; portano ad un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna sovraccaricando il cuore; danneggiano l’epitelio dei vasi sanguigni e rendono il sangue più denso aumentando la probabilità di coagulazione;

  7. Avere uno stile di vita sedentario è fra i principali rischi per la salute e una delle principali cause di morte e malattia. Mantenere uno stile di vita attivo – almeno 150 minuti di attività fisica a settimana (circa 30 minuti al giorno, 5 giorni a settimana) – è fondamentale per mantenere il cuore, ma anche tutto l’organismo, in salute;

  8. Non abusare degli alcolici: gli adulti non dovrebbero bere più di 14 unità a settimana;

  9. Mantenere un peso nella norma: le persone in sovrappeso tendono ad avere un rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari più elevato, dovuto ad un aumento dei fattori di rischio come livelli elevati di colesterolo circolante, condizione di ipertensione e un aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.

Una dieta ottimale che includa cereali integrali, frutta e verdura, noci e semi, pesce grasso e grassi insaturi è quindi fondamentale per mantenere il cuore in un buono stato e, in questo contesto, la Dieta Mediterranea rappresenta lo schema alimentare più adatto per avere una vita lunga e in salute.

Fonti e approfondimenti:

https://www.epicentro.iss.it/cardiovascolare/

https://www.nutrition.org.uk/healthyliving/healthissues/tips-for-a-healthy-heart.html

Una dieta vegana protratta per 4 mesi può modificare positivamente il microbiota intestinale

Una dieta vegana (a ridotto/nullo contenuto di carne) protratta per 4 mesi e non per tutta la vita, sembra contribuire al controllo della glicemia e alla prevenzione dell’insorgenza di sindrome metabolica e diabete di tipo 2 grazie ad una modifica del microbiota intestinale.

A sostenerlo sono i risultati di un’indagine presentati a Barcellona al congresso annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) che si sta svolgendo in questi giorni (16-20 settembre).

Il microbiota intestinale consiste in una vasta comunità di batteri che colonizza il tratto intestinale e sono simbionti e commensali, che significa che per sopravvivere devono necessariamente vivere in stretto rapporto con altri organismi viventi e traggono vantaggio dalla simbiosi. Questi microorganismi esercitano effetti rilevanti su una vasta gamma di attività fisiologiche dell’organismo ospite (ad esempio funzione immunitaria ed elaborazione di nutrienti).

La ricerca è stata condotta su 147 partecipanti, prevalentemente donne (86% donne e 14% uomini) di età compresa tra i 45 e i 65 anni, in sovrappeso ma senza una storia di diabete che sono stati divisi in due gruppi. Ad inizio sperimentazione ad entrambi i gruppi è stata fatta l’analisi del microbiota intestinale, della composizione corporea e della sensibilità insulinica. In seguito al primo gruppo è stata imposta una dieta vegana e a basso contenuto di grassi, mentre il secondo gruppo ha continuato a seguire le proprie abitudini alimentari senza variazioni.

Dopo circa 4 mesi, i partecipanti al primo gruppo mostravano:

  • Una significativa perdita di massa grassa con conseguente perdita di peso (in media – 5,8 kg);

  • Un aumento della sensibilità insulinica, che significa che c’è minore resistenza ed è quindi sufficiente un minor rilascio di insulina per permette il mantenimento di normali livelli di glucosio circolante;

  • Una significativa variazione della composizione del microbiota intestinale: aumento del 4,8% di una specie batterica legata alla salute intestinale (Faecalibacterium prausnitzii) e del 19,5% di Bacteroides fragilis, un’altra specie batterica.

L’aumento di queste specie batteriche sembra essere collegata sia alla perdita di peso che alla maggiore sensibilità all’insulina.

La ricerca ha portato quindi alla conclusione che sedici settimane di regime alimentare vegano siano sufficienti per indurre modifiche nel microbiota che sono correlate positivamente a cambiamenti di peso, nella composizione corporea e nella sensibilità insulinica.

Resta ancora da chiarire se gli effetti benefici siano imputabili al regime alimentare vegano oppure alla sola riduzione dell’introito calorico, infatti le due specie batteriche che aumentano in questo studio sono quelle che si nutrono prevalentemente di fibre e che quindi beneficiano di un’alimentazione completamente vegetale.

La domanda da porsi è: come reagirebbero le stesse specie batteriche se invece di una dieta strettamente vegana si seguisse semplicemente un regime alimentare bilanciato che contenga le famigerate 5 porzioni di frutta e verdura al giorno?

Saranno quindi necessari ulteriori approfondimenti e risultati più certi saranno disponibili nel 2020 in seguito alla conclusione di una seconda sperimentazione condotta dallo stesso gruppo di ricerca guidato da Hana Kahleova del Physicians Commitee for Responsible Medicine (PCRM) di Washington (USA).

Intanto i ricercatori ci tengono a sottolineare che la fibra è il componente più importante presente negli alimenti vegetali in grado di promuovere la crescita di un microbiota in salute e quindi “mangiare più fibre è la raccomandazione dietetica numero uno per un microbioma intestinale sano”.

Fonti e approfondimenti

https://medicalxpress.com/news/2019-09-short-term-vegan-diet-boost-gut.html

https://www.ilmessaggero.it/salute/alimentazione/dieta_vegana_benefici_fa_male_peso_glicemia_oggi_17_settembre_2019-4740139.html

https://www.repubblica.it/salute/alimentazione-e-fitness/2019/09/16/news/dieta_vegana_contro_il_diabete-236187247/?rss

Liguri; Nutrizione e dietologia – aspetti clinici dell’alimentazione; Zanichelli; 2018

In che modo gli alimenti ricchi di fibre aiutano l’intestino

Molto spesso si sente parlare dell´importanza di assumere fibre per avere benefici a livello intestinale.

Cosa si intende per fibra alimentare?

La fibra alimentare è una componente degli alimenti che deriva dalle piante, non digeribile dallo stomaco e dall´intestino tenue. Gran parte di essa fa parte della classe dei carboidrati, ed è importante assumerla in dieta. La possiamo facilmente trovare in alimenti di origine vegetale come frutta, verdura, cereali integrali e legumi.

La fibra si classifica in fibra solubile in acqua e fibra insolubile in acqua:

  • In particolare la fibra solubile rallenta il transito intestinale e dà una sensazione di pienezza prolungata in quanto, essendo solubile, quando si trova nel lume intestinale diviene una sostanza gelatinosa viscosa. Questo tipo di fibra si può trovare nei semi di psillio, avena, orzo, broccoli.
  • La fibra insolubile invece, assorbe acqua all´interno dell´intestino provocando così un aumento del volume di feci e rendendo queste ultime più morbide. In questo modo si ha un transito intestinale più veloce e si riduce anche la presenza di sostanze tossiche per la mucosa intestinale. Generalmente troviamo la fibra alimentare insolubile in verdure a foglia verde, semi di lino e frutta secca.

L´associazione tra fibra ed intestino dunque è di fondamentale importanza. La fibra si rivela un alleato del nostro intestino.

Oltre che all’aumento del senso di sazietà e al miglioramento della funzionalità intestinale e dei disturbi ad essa associati (stipsidiverticolosi), favorisce il mantenimento di un pH intestinale che riduce la crescita della flora batterica intestinale nociva, la cui attività è fonte di metaboliti associati allo sviluppo dei tumori di colon e retto; parallelamente a ciò, aumenta la crescita della flora batterica intestinale benefica (effetto prebiotico), con effetti protettivi nei confronti della mucosa dell’intestino.

Inoltre, l’introduzione di fibra con gli alimenti è stata anche messa in relazione al controllo del peso e dell´obesità e non avendo valore calorico, riduce l’indice glicemico dei carboidrati.

Ovviamente come in tutte le cose, non bisogna esagerare. Esagerare con l’apporto di fibra alimentare può essere pericoloso; troppa fibra, infatti, apporta un eccesso di acido fitico, una sostanza che ostacola l’assorbimento di alcuni minerali, tra cui il calcio, il selenio, il ferro e lo zinco.

Negli adulti viene consigliato di consumare almeno 25 g al giorno di fibra alimentare anche in casi di rapporti energetici inferiori alle 2000 Kcal/die.

Dott.ssa Nicolí Mariagrazia – Biologa Nutrizionista

 

BIBLIOGRAFIA

  • Fibra alimentare, enciclopedia britannica
  • Paolo Cabras, Aldo Martelli. Chimica degli alimenti. PICCIN, 2004
  • Giuseppe Arienti. Le basi molecolari della nutrizione. PICCIN, 2003
  • Paolo Cabras, Aldo Martelli. Terapia medica ragionata. PICCIN, 2002

Azioni efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate: una revisione

In una revisione pubblicata sul Cochrane Database of Systematic Reviews (CDSR) è stato presentato un elenco di interventi che si sono rivelati effettivamente utili nella lotta al consumo di bevande zuccherate

Il Cochrane Database of Systematic Reviews è uno degli archivi più importanti per ciò che riguarda revisioni in ambito sanitario ed è di proprietà di Cochrane, una rete globale indipendente di ricercatori, professionisti, pazienti, assistenti e persone interessate alla salute.

Il motivo che ha spinto gli esperti di Cochrane a raccogliere questi dati è che ormai è scientificamente dimostrato che l’eccessivo consumo di zuccheri aggiunti e di bevande zuccherate, in cui rientrano non solo la coca-cola e l’aranciata, ma anche quelle che possono sembrare più “innocue” come il tè freddo e i succhi di frutta, rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza di diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari, obesità e carie dentali.

Questo tipo di bevande forniscono solo “calorie vuote” derivate dagli zuccheri semplici senza apportare nessun nutriente utile o dare senso di sazietà.

L’assunzione di bevande zuccherate durante la prima infanzia inoltre rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di obesità in età scolare.

Una ricerca pubblicata nel 2014 sulla rivista Pediatrics illustra come il tasso di obesità fra i bambini di 6 anni che assumevano bevande zuccherate era del 17% contro l’8,6% di quelli che non le consumavano, praticamente il doppio.

Trovare strategie efficaci per la riduzione del consumo di bevande zuccherate, soprattutto fra bambini e adolescenti che ne sono i principali consumatori, permetterebbe di contribuire alla prevenzione dell’insorgenza di sovrappeso, obesità e patologie ad esse correlate già a partire dalla giovane età.

La revisione in esame prende in considerazione 58 studi che analizzano le cosiddette “strategie ambientali” attuabili per ridurre il consumo di bevande zuccherate.

Per “strategie ambientali” si intendono quegli interventi il cui scopo è modificare il contesto sociale che porta l’individuo a scegliere di acquistare un determinato tipo di prodotto, in questo caso una bevanda zuccherata.

Tutti gli studi in esame avevano una durata media di circa un anno: sono stati svolti in scuole, negozi o ristoranti e complessivamente hanno coinvolto più di un milione di persone fra adulti, adolescenti e bambini.

Tra gli interventi risultati più efficaci sono stati riscontrati:

  1. L’utilizzo di etichette nutrizionali di facile comprensione, ad esempio l’etichettatura a semaforo;

  2. Limitare la disponibilità di bevande zuccherate nelle scuole;

  3. Aumentare i prezzi delle bevande zuccherate vendute nei ristoranti, nei negozi e nei luoghi di svago;

  4. Sostituire le bevande zuccherate nei menù per bambini con bibite più salutari o semplicemente con acqua;

  5. Fare promozione su bevande più salutari nella grande distribuzione;

  6. Mettere a disposizione buoni per promuovere l’acquisto di prodotti come frutta e verdura;

  7. Promuovere iniziative che rendano l’acqua facilmente disponibile;

  8. L’introduzione, nelle scuole, di premi per i bambini che scelgono di consumare acqua piuttosto che bibite zuccherate.

L’autore della revisione il professor Hnas Hauner, professore di medicina nutrizionale presso la Technical University di Monaco, spiega che per riuscire a combattere l’eccessivo consumo di bevande zuccherate nel mondo “i governi e le aziende di settore devono fare la loro parte per convincere i consumatori a fare scelte sane. Questa revisione evidenzia le misure chiave che possono contribuire a raggiungere ciò” .

L’OMS consiglia di limitare l’assunzione di zuccheri semplici al 5-10% dell’introito calorico giornaliero e gli zuccheri presenti nelle bevande zuccherate vanno a sommarsi agli zuccheri aggiunti presenti in diversi prodotti industriali:

  • snack dolci e salati;
  • sughi pronti;
  • biscotti;
  • crackers;
  • salse;
  • yogurt;
  • piatti pronti;
  • e moltissimi altri. 

Il fatto che gli zuccheri aggiunti si trovino anche all’interno di prodotti insospettabili rende molto difficile per i consumatori rimanere all’interno del range consigliato.

E’ importante sottolineare che le raccomandazioni si riferiscono solo a glucosio, fruttosio e saccarosio aggiunti agli alimenti e a quelli presenti in miele e sciroppi, sono quindi esclusi gli zuccheri naturalmente presenti in frutta, verdura o nel latte, per i quali vigono le regole di una sana ed equilibrata alimentazione e non esistono vere e proprie controindicazioni. 

La promozione di un regime alimentare sano, di iniziative che stimolino i consumatori a preferire alimenti poco elaborati e la semplificazione e trasparenza delle etichette nutrizionali sono sicuramente strategie efficaci per vincere la lotta all’eccesso di zuccheri.

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD012292.pub2/full

http://www.informasalus.it/it/articoli/strategia-ridurre-bevande-zuccherate.php

http://www.sinu.it/html/wlnews/24-03-2015/organizzazione_mondiale_della_sanit_nuove_linee_guida_sullassunzione_di_zuccheri_valide_per_adulti_e_bambini.asp

Pan L, Li R, Park S, Galuska DA, Sherry B, Freedman DS. A longitudinal analysis of sugar-sweetened beverage intake in infancy and obesity at 6 years. Pediatrics. 2014;134 Suppl 1:S29-35.