Dieta mediterranea: uno studio ne conferma il ruolo neuroprotettivo

Uno studio svolto su una campione di 47.000 donne svedesi, di età compresa tra i 29 e i 49 anni, sembra confermare gli effetti positivi, già noti, della dieta mediterranea sia su patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il morbo di Parkinson, sia semplicemente sul declino cognitivo dovuto all’età avanzata.

Lo studio si basa sull’associazione tra l’adesione alla dieta mediterranea nelle donne di mezza età e il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson in età avanzata.

Tra il 1991 e il 1992 è stato chiesto alle donne arruolate di compilare un questionario sul proprio stile di vita e sulle loro abitudini alimentari: in base a queste, è stata poi calcolata l’aderenza ai principi della dieta mediterranea.

I soggetti in esame sono stati poi seguiti nel tempo a partire dal compimento dei 50 anni di età.

Dall’analisi dei dati ottenuti è emerso che il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson – tra le donne che seguivano un regime alimentare che si discostava molto da quello della dieta mediterranea – era doppio rispetto a quello delle donne che seguivano una dieta più vicina ai principi di quella mediterranea.

L’effetto si osserva prevalentemente a partire dai 60 anni e tende ad ampliarsi nel tempo: l’incidenza di malattia aumentava infatti molto più rapidamente dopo i 65 anni tra le donne con bassa aderenza alla dieta mediterranea rispetto alle donne con una aderenza medio-alta, fino ad essere circa tre volte maggiore (tra le prime rispetto alle seconde), all’età di 70 anni.

Nonostante persistano alcuni dubbi dovuti alla natura osservazionale dello studio, questi risultati sottolineano ancora una volta gli effetti positivi della dieta mediterranea sulle patologie neurodegenerative.

Nel 2010 l’UNESCO ha inserito la dieta mediterranea fra i patrimoni immateriali dell’umanità: questo a prova del fatto che la dieta mediterranea, più che un semplice elenco di alimenti, dovrebbe rappresentare un vero e proprio stile di vita.

Osservando il simbolo della dieta mediterranea, cioè la piramide alimentare, possiamo vedere che:

  • Si tratta di un regime basato prevalentemente su frutta, verdura e cereali integrali, che devono essere consumati quotidianamente. L’olio extravergine di oliva è il condimento per eccellenza (da consumare a crudo senza esagerare, 3-4 cucchiai al giorno), assieme ad aglio, cipolla, spezie ed erbe aromatiche, da utilizzare in abbondanza al posto del sale.
  • Verso il centro della piramide ci sono gli alimenti da consumare settimanalmente: tra questi troviamo alimenti prevalentemente proteici, come il pesce e i legumi, di cui si dovrebbero consumare almeno due porzioni a settimana ciascuno, il pollo e le carni avicole (2-3 porzioni), le uova (1-4 a settimana) e i formaggi da consumare non più di un paio di volte a settimana (le porzioni dovrebbero essere da 100g per i formaggi freschi, 50g invece se sono stagionati).
  • Al vertice della piramide ci sono infine gli alimenti da consumare saltuariamente: due porzioni o meno a settimana per le carni rosse, le carni processate (come affettati e salumi) sarebbero da consumare con ancora più parsimonia al massimo una porzione a settimana, mentre i dolci andrebbero consumati solo saltuariamente.

Gli effetti benefici attribuibili alla dieta mediterranea sono probabilmente da imputare all’azione dei numerosi antiossidanti e antinfiammatori naturali presenti all’interno degli alimenti alla base di questo modello dietetico, che rimane uno tra i principali pilastri nella prevenzione del declino cognitivo, delle malattie neurodegenerative e di numerose altre patologie.

Fonti e approfondimenti:

Yin W, Löf M, Pedersen NL, Sandin S, Fang F. Mediterranean Dietary Pattern at Middle Age and Risk of Parkinson’s Disease: A Swedish Cohort Study. Mov Disord. 2020 Oct 20. doi: 10.1002/mds.28314. Epub ahead of print. PMID: 33078857.

http://www.nutrition-foundation.it/notizie/dieta-mediterranea-e-malattia-di-parkinson–uno-studio-di-coorte-conferma-il-ruolo-neuroprotettivo-del-modello-mediterraneo.aspx

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/dieta-mediterranea-una-piramide-di-salute

Circa 2/3 delle morti per patologie cardiache si potrebbero evitare con una dieta sana: uno studio

In occasione del World Food Day 2020, che cade il 16 di Ottobre di ogni anno e che rappresenta l’anniversario della fondazione della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), un gruppo di ricercatori provenienti da diverse università del mondo (Cina, Israele, USA e Canada) ha presentato un report basato sui dati del Global Burden of Disease Study del 2017, il rapporto globale sullo stato di salute del mondo.

I dati raccolti hanno permesso di capire che se si riuscisse ad ottenere un generale miglioramento della dieta a livello globale si riuscirebbero ad evitare circa sei milioni di morti ogni anno!

Pare infatti che più di due terzi dei decessi attribuibili a malattie cardiache potrebbero essere scongiurati se ci si limitasse ad evitare di consumare eccessive quantità di junk-food ultra-processato e, in generale, a mangiare meglio: pressione sanguigna elevata, colesterolo alto e dieta sbagliata sono infatti fra le principali cause di morte per infarti, angine e patologie coronariche.

Nel 2017 nel mondo c’erano 126,5 milioni di persone con una storia clinica di malattie cardiache alle spalle, nello stesso anno inoltre si sono verificati 10,6 milioni nuovi casi con circa 8,9 milioni di decessi, che hanno rappresentato il 16% delle morti totali di quell’anno, contro il 12,6% del 1990.

Per effettuare una valutazione il più accurata possibile i ricercatori hanno preso in considerazione 11 principali fattori di rischio per patologie cardiache fra cui: la dieta, il colesterolo totale elevato, LDL alte (il cosiddetto “colesterolo cattivo”), alti livelli di glucosio nel sangue (glicemia alta), fumo, consumo di alcolici ed elevato indice di massa corporea e hanno calcolato quante morti si sarebbero potute evitare se fossero state eliminate ognuna di queste cause.

È risultato che il 69,2% delle morti si sarebbe potuto evitare anche solo adottando un regime alimentare sano e bilanciato, lasciando inalterate tutte le altre variabili.

Infatti, la diminuzione della mortalità per patologie cardiovascolari sarebbe scesa del 54,4% se la pressione fosse mantenuta tra i 110 e i 115 mmHg, del 41,9% i livelli di LDL fosse entro i limiti, del 25,5% se la glicemia rimanesse entro i limiti e del 18,3% (nelle donne) se l’indice di massa corporea si fosse mantenuto tra 20 e 25.

I risultati suggeriscono quindi che le cardiopatie ischemiche siano ancora una delle principali sfide per la salute pubblica in tutto il mondo e che sia assolutamente necessario attuare interventi efficaci per affrontare i fattori di rischio modificabili, in particolare in quelle aree geografiche con carichi elevati o in aumento: bisogna ideare programmi che tengano conto delle criticità specifiche di ogni paese, della disponibilità di cibo e risorse di ogni stato, stimolando al tempo stesso tutti a una vita più sana con meno alcol, meno fumo e più attività fisica.

Xinyao Liu della Central South University di Changsha, una delle autrici dello studio, ha detto che: “si dovrebbero assumere tra i 200 e i 300 mg di acidi grassi omega-3 provenienti da pesce ogni giorno, tra i 200 e i 300 g di frutta e tra i 290 e i 430 g di verdure fresche, tra i 16 e i 25 g di frutta secca e tra i 100 e i 150 g di cereali integrali. Ciò significa che dovremmo ridurre drasticamente le bevande dolci, i grassi saturi e quelli trans, gli zuccheri e il sale aggiunti, evitando gli alimenti processati, pieni di tutte queste cose”.

 

Fonti e approfondimenti:

Haijiang Dai, Arsalan Abu Much, Elad Maor, Elad Asher, Arwa Younis, Yawen Xu, Yao Lu, Xinyao Liu, Jingxian Shu, Nicola Luigi Bragazzi, Global, regional, and national burden of ischaemic heart disease and its attributable risk factors, 1990–2017: results from the Global Burden of Disease Study 2017, European Heart Journal – Quality of Care and Clinical Outcomes, qcaa076, https://doi.org/10.1093/ehjqcco/qcaa076

http://www.fao.org/world-food-day/theme/it/

Nobel per la pace 2020 al “Programma Alimentare Mondiale” delle Nazioni Unite

Il Comitato Norvegese per il Nobel ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la Pace 2020 al WFP (World Food Programme) cioè il Programma Alimentare Mondiale, la cui sede è a Roma, “per gli sforzi finalizzati a combattere la fame e per aver agito come forza trainante al fine di prevenire l’uso della fame come arma di guerra”.

Nato nel 1961 e divenuto ufficialmente programma dell’ONU nel 1965, il WFP è la principale agenzia impegnata a salvare e migliorare le vite, fornendo assistenza alimentare nelle emergenze e lavorando con le comunità per migliorarne la nutrizione e costruirne la resilienza.

Le attività del WFP si concentrano nell’assistenza d’emergenza, nel soccorso e nella ricostruzione, nello sviluppo e nelle operazioni speciali.

Di seguito alcuni dati del 2019 che permettono di capire perché il Programma Alimentare Mondiale è un pilastro così importante nella lotta alla fame nel mondo:

  • Ha fornito assistenza a 97 milioni di persone – il numero più altro dal 2012 – in 88 paesi.

  • Ogni giorno 5.600 camion, 30 navi e circa 100 aerei del WFP si attivano per portare cibo e altri tipi di assistenza a chi ne ha più bisogno.

  • Ha distribuito 4,2 milioni di tonnellate di cibo e 2,1 miliardi di dollari tramite voucher e trasferimenti di contante (il programma è finanziato attraverso donazioni volontarie di governi e privati). Il cibo viene acquistato il più vicino possibile a dove esso è necessario, in modo da risparmiare tempo, denaro sui costi di trasporto e contribuire a sostenere l’economia locale, dove ci sono delle difficoltà il trasferimento di denaro facilita l’acquisto direttamente sul posto.

  • Ha fornito pasti a scuola a oltre 17,3 milioni di bambini e bambine in 50 paesi, spesso nelle regioni più inaccessibili.

  • Lo staff del WFP conta oltre 17.000 dipendenti in tutto il mondo; di essi, oltre il 90 per cento si trova in paesi in cui l’agenzia fornisce assistenza.

Negli ultimi mesi il WFP si è inoltre dedicato molto anche alle conseguenze della pandemia da Covid-19, che ha costretto i governi di tutto il mondo ad introdurre restrizioni rigidissime con effetti sugli indici di disoccupazione e di povertà.

Nonostante gli sforzi però nel 2019 ancora 135 milioni di persone, in 55 paesi, hanno sofferto di insicurezza alimentare acuta e circa una persona su tre nel mondo, soffre di qualche forma di malnutrizione.

Due terzi degli interventi del Programma si svolgono in paesi colpiti da conflitti (Yemen, Siria, Burkina Faso, Nigeria, ecc.), dove il rischio per le popolazioni di essere denutrite è tripla rispetto ai paesi in pace, infatti il legame tra fame e conflitto armato è un circolo vizioso: le guerre causano carenza di cibo o difficoltà di accesso ad esso e, allo stesso tempo, l’insicurezza alimentare e la fame possono essere causa di conflitti e violenza.

Fra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati dalla comunità mondiale nel 2015 c’è Fame Zero, un impegno collettivo a mettere fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile: questi obiettivi coincidono con le priorità del Programma Alimentare Globale che ogni giorno si impegna per rendere sempre più possibile un mondo a fame zero.

Come si legge nel sito del WFP:

“Il mondo ha fatto grandi progressi nella riduzione della fame: rispetto al 1990-92, sono 300 milioni le persone che non soffrono più la fame, nonostante la popolazione mondiale sia aumentata di 1,9 miliardi.

Ma c’è ancora molto a fare e nessuna organizzazione può raggiungere la Fame Zero da sola.

Se vogliamo avere un mondo libero dalla fame entro il 2030, governi, cittadini, organizzazioni della società civile e il settore privato devono collaborare per investire, innovare e creare soluzioni durature”.

Fonti e approfondimenti:

https://it.wfp.org/wfp-in-breve

https://it.wfp.org/fame-zero

EARTH DAY 2020: una giornata di mobilitazione digitale

Esiste un evento internazionale che coinvolge 192 Paesi e circa un miliardo di persone!

Oggi, 22 aprile, si celebra infatti la Giornata Mondiale della Terra, la manifestazione ambientalista che si tiene ogni anno per sensibilizzare la popolazione sulla salvaguardia del pianeta.

L’origine di questa manifestazione è da ricollegare ad un evento particolarmente traumatico dal punto di vista ambientale che scosse gli Stati Uniti d’America nel 1969: il disastro ambientale di Santa Barbara (California) durante il quale per una fuoriuscita di petrolio da un pozzo della Union Oil vennero riversate circa 80mila litri di petrolio nell’Oceano Pacifico.

In seguito a questo avvenimento l’allora senatore del Wisconsin, Gaylord Nelson, organizzò, nella giornata del 22 aprile, un teach-in nei campus universitari per favorire il dibattito sul disastroso deterioramento ambientale che stavano vivendo gli Stati Uniti, durante il quale venne coinvolto anche l’attivista Denis Hayes.

L’evento suscitò un tale interesse da parte dei media e delle istituzioni che Hayes decise di creare uno staff nazionale di 85 persone con l’obiettivo di promuovere e svolgere attività di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale.

Gli sforzi si sono poi presto ampliati fino ad includere un grandissimo numero di organizzazioni, gruppi di fede e associazioni.

Il 22 aprile 1970, a un anno dal disastro, 20 milioni di cittadini americani (il 10% della popolazione) si mobilitarono per una manifestazione a difesa del pianeta dove vennero organizzate proteste contro il degrado ambientale.

Da allora, il 22 aprile è stato individuato come simbolo del movimento, diventando il giorno prescelto per celebrare l’Earth Day.

Nel 1990 la Giornata della Terra diventa globale, mobilitando circa 200 milioni di persone in 141 paesi.

Oggi, a 50 anni da quella prima giornata di proteste, il tema dell’Earth Day 2020 è l’azione climatica.

Il cambiamento climatico rappresenta infatti la più grande sfida per il futuro dell’umanità e di tutti quei sistemi di supporto alla vita che rendono il nostro mondo abitabile.

In occasione della Giornata della Terra 2020, è necessario appropriarsi di tutti gli strumenti a disposizione per poter cambiare la nostra vita e il nostro mondo non per un giorno solo, ma per sempre.

Il periodo storico ci costringe infatti a mantenere le distanze fisiche, ma grazie ai media digitali siamo più uniti e connessi che mai.

L’invito è quindi quello di unirsi in una giornata di mobilitazione digitale: per le 24 ore della Giornata mondiale della Terra, il web e la televisione saranno riempiti da dibattiti globali in streaming, inviti all’azione, spettacoli, documentari, insegnamenti online, video e molto altro ancora, con l’obiettivo di mobilitare il mondo ed intraprendere le azioni più significative per fare la differenza.

Visitando il sito www.earthday.org è possibile rimanere aggiornati su tutte le iniziative che si stanno svolgendo nel mondo a sostegno della Giornata mondiale della Terra.

Le possibilità di rimanere aggiornati anche tramite piattaforme italiane sono molte.

Di seguito alcuni link da non perdere da cui sarà possibile seguire alcuni interessanti aggiornamenti riguardanti questa manifestazione:

  • Sarà possibile seguire la maratona multimediale ufficiale #OnePeopleOnePlanet promossa da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari: sia su raiplay.it/programmi/onepeopleoneplanet , sia sul sito di Earth Day Italia  , sia direttamente sul loro canale YouTube.

  • Anche National Geographic dedicherà una maratona live streaming alla Giornata, dal titolo “Cosa ci dice la Terra”, che sarà possibile seguire al seguente link.

Non importa dove ti trovi, puoi fare la differenza. E non sei solo, perché insieme possiamo salvare la Terra”.

Fonti e approfondimenti:

www.earthday.org/history/

www.earthday.org/earth-day-2020/

 

 

 

Linee guida sulla sana alimentazione: False credenze sul peso

Condizioni di sovrappeso e obesità, ma anche l’eccessiva magrezza o l’anoressia rappresentano uno dei principali fattori di rischio per la salute della società moderna.

Gli squilibri alimentari in eccesso e in difetto sono infatti spesso associati all’insorgenza di diverse patologie gravi e croniche a carico di tutto l’organismo: malattie del sistema cardiovascolare, diabete, alcune forme di cancro, amenorrea, infertilità, osteoporosi, disfunzioni endocrine e moltissime altre.

La regolazione del peso corporeo è un insieme complesso di variabili fisiologiche, metaboliche, ambientali, comportamentali e genetiche, che controllano quanta energia introduciamo nel nostro organismo e quanta ne spendiamo.

Il comportamento alimentare oggi non è più solo regolato dal solo senso di fame o sazietà, come avveniva per i nostri lontani parenti preistorici, ma sono ormai moltissimi i fattori psicologici che influenzano il nostro rapporto con il cibo: l’influenza di altre persone, la pressione sociale, lo stile di vita, i media, il marketing, ecc.

L’alimentazione è un argomento molto scottante ed è continuamente sulla bocca di tutti.

Questo costante bombardamento di stimoli ed informazioni influenza il rapporto che le persone hanno con il cibo e porta alla nascita e alla diffusione di moltissimi falsi miti che spesso purtroppo vengono ingigantiti dai media e sfruttati in maniera errata da sedicenti “esperti della salute”, privi di qualsiasi titolo riconosciuto.

Le Linee guida per una sana alimentazione, redatte e rilasciate da un gruppo di esperti del CREA, cercano di sfatare alcuni falsi miti sul peso corporeo e di dare alle persone gli strumenti per capire che il cibo non è un nemico, ma anzi è uno dei nostri principali alleati per rimanere in salute.

Di seguito 8 delle più famose false credenze sul peso che spesso portano a comportamenti sbagliati:

  • Non è vero che l’eccesso di peso deriva dalla cosiddetta “ossatura grossa”.

    Il peso delle ossa rappresenta una proporzione abbastanza costante del nostro peso, circa il 15% nei maschi e il 12% nelle femmine. Inoltre, il tessuto osseo si è sviluppato per fornire la massima robustezza e flessibilità con il minimo del peso.

  • Non è vero che dimagrire è inutile e che si riprendono sempre i kg persi.

    Ignorare un aumento di peso eccessivo è sempre sbagliato, è ovvio che per rendere permanente il calo è fondamentale cambiare il proprio stile di vita e la propria alimentazione in favore di uno stile di vita più sano e bilanciato.

  • Non è vero che, visto che l’obesità può avere una componente genetica, non ci si può fare niente.

    Nonostante la genetica giochi un ruolo nella predisposizione all’obesità, ad influire sul peso sono principalmente le cattive abitudini alimentari trasmesse dai genitori ai figli.

  • Non è vero che indossare tute, panciere, fasce o pellicole di plastica aiuti a dimagrire.

    La perdita che avviene è prevalentemente di acqua tramite sudore, che viene recuperata velocemente: il sudore è segno che stiamo bruciando calorie, ma non ne è la causa.

  • Non è vero che svolgere esercizio fisico ci autorizza a mangiare di più.

    Sopravvalutare il dispendio energetico che ci assicura l’esercizio fisico è un errore. L’attività fisica, più che per perdere peso, serve a tonificare la massa magra e normalizzare i parametri ematici.

  • Non è vero che diete dimagranti ripetute causano anoressia o disturbi dell’alimentazione.

    In molti casi i circuiti mentali che portano all’anoressia si instaurano senza che prima sia stata seguita alcun tipo di dieta.

  • Non è vero che i disturbi alimentari si risolvono solo con la buona volontà.

    Chi soffre di questi disturbi spesso non è in grado di controllarli e necessita dell’aiuto di uno specialista.

  • Non è vero che la magrezza è l’unico sintomo evidente di un disturbo alimentare.

    Spesso l’insorgenza di un disturbo alimentare è associata ad una visione distorta del proprio corpo, che sfocia in un rapporto conflittuale con il cibo che porta a comportamenti compulsivi non sempre orientati alla privazione. Ad esempio, l’eccessiva magrezza non è sempre un sintomo che si manifesta in una persona affetta da bulimia.

Fonti e approfondimenti:

www.crea.gov.it/web/alimenti-e-nutrizione/-/linee-guida-per-una-sana-alimentazione-2018

 

Dieta chetogenica: sì o no? Fra mito e realtà.

La maggior parte delle persone, soprattutto nel mese di gennaio, inizia una dieta: chi per perdere quei due-tre chili di troppo accumulati durante le feste, chi perché da tempo ha deciso di intraprendere un percorso atto a raggiungere il proprio peso forma e chi perché ha inserito il “rimettersi in forma” fra i buoni propositi per il 2020.

È quindi abbastanza normale che i media siano tempestati di diete detox e soluzioni miracolose, soprattutto considerando quanto sia difficile perdere peso e quanto sia complesso il percorso di una persona che decidere di seguire una dieta.

Spesso, infatti, i regimi dietetici sono molto rigidi e alcuni regimi alimentari “vecchio stile” non tengono in considerazioni i gusti del paziente, obbligandolo a consumare alimenti che non sono di suo gradimento, e soprattutto non sempre si riesce a mantenere il peso perso nel corso del tempo.

Negli ultimi anni un regime alimentare che ha riscosso molto interesse e di cui si sente parlare sempre più spesso è il low carb, cioè la cosiddetta cheto-dieta o dieta chetogenica.

Si definisce dieta chetogenica “un regime alimentare che fornisce in genere meno di 800 kcal/die e con un apporto di carboidrati compreso fra i 20 e i 50g/die”. Significa quindi che dal 60 al 90% dell’energia per l’organismo viene assunta sotto forma soprattutto di grassi e di proteine.

Questo tipo di dieta induce nell’organismo quello che viene definito uno stato di “chetosi”, cioè il corpo smette di utilizzare gli zuccheri come fonte di energia e, mentre il resto dell’organismo inizia a sfruttare le riserve di grasso, il sistema nervoso inizia ad impiegare i corpi chetonici prodotti dal metabolismo come fonte di energia.

In origine questa dieta era stata ideata, con successo, come trattamento per alcune forme di epilessia resistente ai farmaci e come trattamento per gravi obesi che non riuscivano a perdere peso seguendo un regime ipocalorico bilanciato; dato che porta buoni risultati anche in termini di calo ponderale rapido, oggi viene adottata in maniera indiscriminata da molte persone normopeso come dieta atta al dimagrimento.

Nel momento in cui si decide di adottare un regime alimentare di tipo chetogenico sicuramente la prima cosa che si nota è effettivamente un calo di peso molto rapido.

Questa riduzione è dovuta principalmente ad una perdita di liquidi legata alla variazione metabolica che questa dieta induce nell’organismo. Inoltre, diversamente da molte diete dimagranti ipocaloriche, la dieta chetogenica non causa “senso di fame” grazie all’assunzione di grassi che prolungano il senso di sazietà.

In seguito a queste considerazioni è facile capire come mai questo regime alimentare abbia riscosso così tanto successo e come mai sembra essere così ben tollerato dai più. Perdere peso senza contemporaneamente patire la fame il tutto in un’unica dieta, cosa si può volere di più?

In realtà, come per la maggior parte delle cose, c’è un rovescio della medaglia: molti ignorano il fatto che un regime alimentare di questo tipo adottato in maniera non bilanciata, non controllata e protratto sul lungo periodo, può causare danni ai reni, all’apparato circolatorio e a gravi carenze nutrizionali.

Come sottolinea, in un’intervista sul Fatto Alimentare, la dottoressa Lucilla Titta (nutrizionista e ricercatrice dello IEO – istituto oncologico europeo) le diete chetogeniche prevedono un massiccio consumo di alimenti di origine animale: questo, oltre ad avere un impatto negativo dal punto di vista ambientale, riduce considerevolmente il consumo di frutta, verdura e cereali integrali con conseguente scarso apporto di fibra, minerali e vitamine.

Spesso anche il consumo di latticini è scarso e ridotto solo a yogurt e latte magro, questo aumenta il rischio di patologie legate al sistema scheletrico.

Un altro aspetto da tenere in considerazione, e che viene spesso ignorato, è l’impatto psicologico che questa dieta può avere su alcuni pazienti. Si è visto infatti che per alcuni utenti più fragili, protrarre una dieta chetogenica per diverso tempo è molto pesante da tollerare: i pazienti, dopo un’alternanza di periodi di totale assenza di carboidrati e periodi di improvvise abbuffate, iniziano a considerare i carboidrati un cibo cattivo inducendo un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire.

Nonostante questo, però la letteratura scientifica relativa agli effetti collaterali delle diete chetogeniche bilanciate è ad oggi ancora insufficiente. Se si decide di seguire un regime low carb con lo scopo di perdere peso, e in assenza di patologie particolari, è necessario applicarlo con parsimonia, farsi seguire da uno specialista e adottarlo per periodi di tempo limitati. Il paziente va preventivamente valutato dal punto di vista clinico e dovrebbe essere seguito attentamente durante tutto il corso della dieta.

Relativamente all’aspetto psicologico le diete chetogeniche “fai da te” (quindi attuate in maniera sconsiderata, senza l’ausilio di uno specialista e affidandosi a diete standardizzate o indicazioni trovate su internet) possono considerarsi al limite del diseducativo: non insegnano nulla sul gestire in maniera bilanciata la propria alimentazione ed infatti, nonostante nel modello di dieta chetogenica corretto i carboidrati debbano essere reintrodotti nel corso del tempo, capita che negli utenti rimanga insita l’idea che i carboidrati siano nutrienti dannosi, da evitare, e questo porta ad un regime low carb protratto ad oltranza.

Inoltre, come non esistono evidenze certe della dannosità della cheto-dieta, non esistono nemmeno prove sufficienti che i risultati ottenuti seguendo un regime alimentare low carb siano migliori e più duraturi rispetto a quelli raggiunti con una normale dieta bilanciata.

Per utilizzare le parole della dottoressa Titta “le conoscenze attuali non giustificano l’idea che le diete low carb siano più efficaci di altri regimi per perdere peso, e tanto meno che permettano di stabilizzarsi sul peso desiderato”.

Per riuscire a perdere peso in modo duraturo è più utile seguire un regime ipocalorico in cui però siano rappresentati tutti i diversi nutrienti: carboidrati, grassi e proteine.

Se si impara a mangiare correttamente e si associa alla sana alimentazione un adeguato livello di attività fisica, questo dovrebbe diventare lo stile di vita corretto da seguire in maniera continuativa e stabile per tutta la vita, evitando così di andare incontro a carenze nutrizionali e godendosi allo stesso tempo i piaceri gastronomici.

Fonti e approfondimenti:

https://ilfattoalimentare.it/dieta-chetogenica-terapia-moda.html

https://ilfattoalimentare.it/diete-low-carb.html

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/epilessia-in-quali-casi-puo-essere-utile-la-dieta-chetogenica

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/lesperto-risponde/dieta-chetogenica-di-cosa-si-tratta

https://www.mauriziotommasini.it/dieta-chetogenica/

 

 

Cibi ultra-processati, diabete e insonnia: un consumo eccessivo incide negativamente sulla salute, come “difendersi”

In un’epoca in cui la mancanza di tempo rende il fare la spesa e il cucinare imprese quasi impossibili per buona parte delle persone, gli alimenti ultra-processati e preconfezionati sembrano rappresentare la soluzione ideale per risolvere il problema: poca spesa e molta resa.

Gli alimenti ultra-trasformati, cioè tutti quei prodotti industriali lavorati e confezionati caratterizzati da lunghissimi tempi di conservazione, con liste di ingredienti costituite da cinque o più elementi (tra cui grassi, zuccheri, stabilizzanti, conservanti e additivi), sono pratici, veloci da preparare, economici e, di conseguenza, molto diffusi nelle diete occidentali.

Quello che la maggior parte dei consumatori non tiene in considerazione è che quasi mai “molto economico” e “salutare” sono aspetti che viaggiano in parallelo, soprattutto quando si parla di alimentazione, e a farne le spese è la nostra salute.

Nell’elenco degli alimenti considerati “ultra-processati” figurano prodotti appartenenti alle più disparate categorie merceologiche: bevande gassate e bibite, succhi di frutta con zuccheri aggiunti, snack dolci e salati, gelati confezionati, caramelle, prodotti da forno industriali (biscotti, pane in cassetta, torte, ecc.), cereali da colazione, margarine, prodotti a base di carni ricostruite (ad esempio würstel e crocchette di pollo) o di pesce (bastoncini di pesce), zuppe in scatola e molti altri.

Negli ultimi anni un elevato consumo di questo tipo di prodotti è stato spesso associato ad un aumento del rischio di mortalità per qualsiasi causa e all’aumento del rischio di insorgenza di malattie croniche fra cui alcune forme di cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione e dislipidemie.

Molti sono gli studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche che trattano questo aspetto, fra gli ultimi uno studio prospettico sul rischio di insorgenza di diabete di tipo 2 associato al consumo di alimenti ultra-trasformati pubblicato nel mese di dicembre sul JAMA Internal Medicine:

In questo studio sono stati coinvolti 104.707 partecipanti. I dati sulle abitudini alimentari sono stati raccolti compilando dei registri dietetici ripetuti su 24 ore, progettati per monitorare il consumo abituale di oltre 3.500 alimenti diversi. Tramite il sistema NOVA (un sistema di classificazione validato sviluppato dall’Università di San Paolo in Brasile) i diversi alimenti sono stati catalogati in base al loro livello di elaborazione. Si è visto che mediamente la dieta di tutti i partecipanti era costituita per circa il 17% da alimenti ultra-trasformati. Alla fine del periodo di osservazione si è visto come ad un aumento del 10% del consumo di alimenti ultra-trasformati, corrispondeva un aumento del 15% del rischio di insorgenza di diabete.

Un altro studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition ha analizzato l’associazione fra il consumo di alimenti ultra-processati, ricchi di amidi raffinati e zuccheri aggiunti (quindi ad alto indice glicemico) con l’incidenza di insonnia in oltre 50 mila donne in menopausa: lo studio partiva dall’ipotesi che un aumento del carico glicemico a livello gastrointestinale corrispondeva una maggiore probabilità di soffrire di insonnia. Alla fine dello studio è risultato che effettivamente i soggetti che consumavano abitualmente più amidi raffinati e zuccheri aggiunti soffrivano più spesso di insonnia, mentre quelli che avevano una dieta costituita prevalentemente da alimenti semplici, naturali, ricchi di fibre e poco processati godevano di una qualità del sonno nettamente superiore.

Questi due recenti studi non fanno altro che confermare quello che era già noto: il consumo abituale ed eccessivo di alimenti industriali ultra-trasformati è dannoso.

Il motivo di questo impatto negativo è dovuto al fatto che in generale i cibi ultra-processati sono allo stesso tempo molto calorici e poveri di fibre, micronutrienti e fitocomposti, hanno un elevato indice glicemico e sono ricchissimi di grassi alimentari, zuccheri aggiunti, sale, aromi ed esaltatori di sapidità.

Il loro consumo incide su moltissimi aspetti della nostra salute, anche quelli meno noti ed evidenti, inoltre spesso questi cibi innescano il principio di food addiction (circuito di dipendenza innescato da alimenti altamente appetibili) e consumo compulsivo (binge eating) e questo avviene già a partire dall’età pediatrica che rappresenta la fascia di età maggiormente sedotta dal fascino e dal gusto di questo tipo di alimenti.

Come fare ad evitare di incorrere in questi problemi?

Bisogna riappropriarsi di un’alimentazione vera.

Quando la quantità di tempo a disposizione lo permette è preferibile acquistare alimenti “naturali”, crudi e freschi cucinandoli e assemblandoli tenendo in considerazione che:

  • I pasti devono essere bilanciati;
  • Le porzioni devono essere calcolate in base al sesso, allo stile di vita e al livello di attività fisica svolto;
  • Bisogna fare attenzione ai condimenti (sale, zucchero, olio, ecc.) e riscoprire le spezie che non aggiungono calorie e allo stesso tempo danno gusto ai piatti;
  • I pasti devono contenere tutti i macro- e micro-nutrienti fondamentali: carboidrati, grassi, proteine, fibre, vitamine e sali minerali.

Quando il tempo scarseggia e si sceglie di ricorrere ad alimenti preconfezionati è buona norma leggere attentamente le etichette nutrizionali.

Esistono infatti in commercio prodotti trasformati e confezionati di buona qualità e che possono essere inseriti all’interno di un regime alimentare bilanciato, sono i cosiddetti cibi minimamente trasformati (come ad esempio la lattuga in busta, le verdure già tagliate, minestroni e verdure surgelate, alcuni prodotti in scatola, ecc.).

Per riuscire ad orientarsi in questo mondo l’unico modo è assicurarsi che quello che si sta scegliendo di acquistare non sia solo gustoso e veloce da preparare, ma che contenga al suo interno solo ingredienti che riusciamo a riconoscere, che abbia un basso contenuto di zuccheri semplici e sale, che non contenga esaltatori di sapidità che spesso vengono aggiunti per dare sapore a prodotti in generale “poveri”, che gli oli aggiunti siano di buona qualità e in quantità moderate e, non meno importante, leggere attentamente le indicazioni per lo smaltimento differenziato degli imballaggi e delle confezioni.

I cibi trasformati fanno parte della nostra vita sempre più frenetica e di corsa, la cosa importante è saper scegliere.

 

Fonti e approfondimenti:

https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/article-abstract/2757497

https://academic.oup.com/ajcn/advance-article-abstract/doi/10.1093/ajcn/nqz275/5673520?redirectedFrom=fulltext

http://blog.lalvearechedicesi.it/2018/10/11/cibi-processati-cosa-sono-e-perche-evitarli/

https://ilfattoalimentare.it/alimenti-ultra-trasformati-diabete-insonnia.html

www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/alimenti-ultra-processati-e-dipendenza-da-cibo-studio-scientifico

www.scienzemotorie.com/cibi-trasformati-conoscerli-e-saperli-utilizzare/

Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2019

Nel 2019 esistono ancora paesi in cui quasi il 50% della popolazione, soprattutto bambini, vive in condizioni di denutrizione. Sono più di 820 milioni nel mondo le persone che non hanno accesso a cibo di qualità e ad una dieta equilibrata, indispensabile per la normale crescita, sviluppo e mantenimento di tutto l’organismo.

Al contrario, mentre nei paesi in via di sviluppo le persone faticano ogni giorno per racimolare una quantità di cibo sufficiente alla sopravvivenza, nei paesi occidentali l’obesità infantile dilaga raggiungendo livelli allarmanti diventando ogni giorno un problema sempre più rilevante di sanità pubblica. Basti pensare che, solo nel nostro paese, la percentuale di bambini malnutriti e sovrappeso fra i 5 e i 19 anni è del 36,8%, (un aumento del 39,1% rispetto a dieci anni fa). Allo stesso tempo circa il 14% di tutto il cibo prodotto nel mondo viene gettato ancora prima di raggiungere lo scaffale dei punti vendita a causa di problematiche che insorgono nelle fasi produttive, di trasporto e di stoccaggio.

Alimentazione squilibrata e spreco alimentare sono solo alcuni dei temi che vengono trattati oggi, 16 ottobre, nella giornata mondiale dell’alimentazione.

Istituita come ricorrenza per celebrare la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – FAO (16 ottobre 1945), nel corso degli anni ha coinvolto più di 150 paesi nel mondo trasformandola, da semplice anniversario, in una vera e propria giornata dedicata alla sensibilizzazione su problematiche che affliggono la nostra società: povertà, fame, denutrizione e malnutrizione, ma anche sicurezza e legislazione alimentare, sostenibilità ambientale delle produzioni, food waste e alimentazione equilibrata.

La diffusione di diete nutrienti, equilibrate e sostenibili per tutti rappresenta il tema cruciale di questa giornata: la cura dell’alimentazione è la prima forma di prevenzione nei confronti di molte patologie croniche come diabete, ipertensione, sindrome metabolica, obesità e anche diverse forme tumorali.

Allo stesso tempo limitare gli sprechi e fare in modo che la produzione alimentare sia sostenibile per il pianeta e accessibile a tutti è un impegno da cui nessun paese può più sottrarsi ed è proprio questo il tema della giornata mondiale dell’alimentazione 2019.

Il progetto è grande ed ambizioso, per questo è indispensabile che la società venga coinvolta su tutti i livelli: dai governi all’intera filiera produttiva, fino al consumatore finale.

Ognuno infatti, nel suo piccolo, può contribuire al raggiungimento dell’impegno fissato per l’Agenda 2030 e a questo scopo la FAO ha condiviso sul suo sito un elenco di linee guida da applicare nel quotidiano per iniziare a fare del bene a noi stessi e al mondo:

  1. Scelte dietetiche:
  • Segui le linee guida per una sana alimentazione del tuo paese, forniscono consigli su come assicurarti di assumere abbastanza nutrienti per vivere una vita in salute.
  • Aggiungi verdure, frutta, legumi, noci e cereali integrali alla tua dieta: oltre che essere benefici per il nostro organismo sono anche migliori per il pianeta!
  • Tagliare su amidi raffinati, zucchero, grassi e sale: in generale riduci il consumo di alimenti ultra-trasformati e di derivati animali, ne beneficerà il tuo corpo e anche il pianeta.
  • Scambia cibi raffinati con opzioni “integrali” più ricchi di nutrienti.
  • Conosci i tuoi grassi: sostituisci i grassi saturi con i grassi insaturi ed evita il consumo di grassi trans, presenti soprattutto in prodotti confezionati.
  1. Scelte del pianeta:
  • Riduci la tua impronta alimentare: l’impatto ambientale dei cibi che mangiamo varia da prodotto a prodotto. Alcuni alimenti richiedono l’impiego di molte più risorse naturali, come l’acqua, per la loro produzione rispetto ad altri. Le produzioni animali, ad esempio, impiegano molte più risorse rispetto a quelle necessarie per le produzioni vegetali.
  • Evita di acquistare alimenti con quantità eccessive di imballaggio, utilizza contenitori e sacchetti riutilizzabili.
  • Diversifica la tua dieta: favorisci i prodotti tradizionali, locali e stagionali, sostieni la biodiversità della tua area geografica!
  • Mangia pesce di provenienza sostenibile: il pesce è un’ottima fonte di proteine e omega-3, ma è bene prediligere pesci derivati da pesca locale e, se si sceglie di consumare pesce di allevamento, assicurarti che derivi da allevamenti eco-sostenibili e che esibisca un certificato di qualità.
  • Conservare e sprecare meno: evita di sprecare il cibo, acquista solo quello che ti serve e se avanza del cibo non gettarlo, ma conservalo in frigo o in freezer e riutilizzalo. Leggi bene le indicazioni per la conservazione e la scadenza e utilizza contenitori ermetici e riutilizzabili per conservare gli avanzi.
  1. Scelte di vita:
  • Mangia in compagnia e cucina a casa. Fa bene alla salute e all’umore!
  • Impara a leggere le etichette: sono la carta d’identità dell’alimento e danno indicazioni su energia, nutrienti, ingredienti, conservazione e scadenza. Saperle leggere ci può aiutare a fare delle scelte più consapevoli e a sprecare di meno.
  • Non lasciarti influenzare dagli imballaggi o dalla pubblicità.
  • Fai attività fisica per almeno 30 minuti, ogni giorno.
  • Richiedi pasti e snack più salutari: nelle mense (sia scolastiche che aziendali) e nei distributori automatici chiedi che siano forniti prodotti salutari e nutrienti.
  • Parla alle persone, condividi le tue conoscenze e la tua passione per il cibo: il cibo connette tutti!

“Fame Zero va oltre la fame, significa garantire cibo nutriente per tutti dovunque, è necessario intervenire affinché un’alimentazione sana sia disponibile per tutti. Le nostre azioni sono il nostro futuro!

 

#ZeroHunger

#FameZero

 

Fonti e approfondimenti:

http://www.fao.org/sustainable-development-goals/goals/goal-2/en/

http://www.fao.org/3/ca5268it/ca5268it.pdf

www.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/italia_bambini_obesi_unicef-238581950/

https://www.focus.it/comportamento/economia/giornata-mondiale-alimentazione-fao-perdite-mondiali-di-cibo

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2019/10/15/domani-giornata-mondiale-alimentazione-obiettivo-fame-zero_cfb09ea8-1660-4247-9d50-3c00cdf8acdf.html

 

 

 

Una dieta vegana protratta per 4 mesi può modificare positivamente il microbiota intestinale

Una dieta vegana (a ridotto/nullo contenuto di carne) protratta per 4 mesi e non per tutta la vita, sembra contribuire al controllo della glicemia e alla prevenzione dell’insorgenza di sindrome metabolica e diabete di tipo 2 grazie ad una modifica del microbiota intestinale.

A sostenerlo sono i risultati di un’indagine presentati a Barcellona al congresso annuale dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) che si sta svolgendo in questi giorni (16-20 settembre).

Il microbiota intestinale consiste in una vasta comunità di batteri che colonizza il tratto intestinale e sono simbionti e commensali, che significa che per sopravvivere devono necessariamente vivere in stretto rapporto con altri organismi viventi e traggono vantaggio dalla simbiosi. Questi microorganismi esercitano effetti rilevanti su una vasta gamma di attività fisiologiche dell’organismo ospite (ad esempio funzione immunitaria ed elaborazione di nutrienti).

La ricerca è stata condotta su 147 partecipanti, prevalentemente donne (86% donne e 14% uomini) di età compresa tra i 45 e i 65 anni, in sovrappeso ma senza una storia di diabete che sono stati divisi in due gruppi. Ad inizio sperimentazione ad entrambi i gruppi è stata fatta l’analisi del microbiota intestinale, della composizione corporea e della sensibilità insulinica. In seguito al primo gruppo è stata imposta una dieta vegana e a basso contenuto di grassi, mentre il secondo gruppo ha continuato a seguire le proprie abitudini alimentari senza variazioni.

Dopo circa 4 mesi, i partecipanti al primo gruppo mostravano:

  • Una significativa perdita di massa grassa con conseguente perdita di peso (in media – 5,8 kg);

  • Un aumento della sensibilità insulinica, che significa che c’è minore resistenza ed è quindi sufficiente un minor rilascio di insulina per permette il mantenimento di normali livelli di glucosio circolante;

  • Una significativa variazione della composizione del microbiota intestinale: aumento del 4,8% di una specie batterica legata alla salute intestinale (Faecalibacterium prausnitzii) e del 19,5% di Bacteroides fragilis, un’altra specie batterica.

L’aumento di queste specie batteriche sembra essere collegata sia alla perdita di peso che alla maggiore sensibilità all’insulina.

La ricerca ha portato quindi alla conclusione che sedici settimane di regime alimentare vegano siano sufficienti per indurre modifiche nel microbiota che sono correlate positivamente a cambiamenti di peso, nella composizione corporea e nella sensibilità insulinica.

Resta ancora da chiarire se gli effetti benefici siano imputabili al regime alimentare vegano oppure alla sola riduzione dell’introito calorico, infatti le due specie batteriche che aumentano in questo studio sono quelle che si nutrono prevalentemente di fibre e che quindi beneficiano di un’alimentazione completamente vegetale.

La domanda da porsi è: come reagirebbero le stesse specie batteriche se invece di una dieta strettamente vegana si seguisse semplicemente un regime alimentare bilanciato che contenga le famigerate 5 porzioni di frutta e verdura al giorno?

Saranno quindi necessari ulteriori approfondimenti e risultati più certi saranno disponibili nel 2020 in seguito alla conclusione di una seconda sperimentazione condotta dallo stesso gruppo di ricerca guidato da Hana Kahleova del Physicians Commitee for Responsible Medicine (PCRM) di Washington (USA).

Intanto i ricercatori ci tengono a sottolineare che la fibra è il componente più importante presente negli alimenti vegetali in grado di promuovere la crescita di un microbiota in salute e quindi “mangiare più fibre è la raccomandazione dietetica numero uno per un microbioma intestinale sano”.

Fonti e approfondimenti

https://medicalxpress.com/news/2019-09-short-term-vegan-diet-boost-gut.html

https://www.ilmessaggero.it/salute/alimentazione/dieta_vegana_benefici_fa_male_peso_glicemia_oggi_17_settembre_2019-4740139.html

https://www.repubblica.it/salute/alimentazione-e-fitness/2019/09/16/news/dieta_vegana_contro_il_diabete-236187247/?rss

Liguri; Nutrizione e dietologia – aspetti clinici dell’alimentazione; Zanichelli; 2018

Bottiglie di plastica: in Europa ogni anno se ne consumano 46 miliardi, primato all’Italia

Oltre l’80% dei rifiuti che vengono ritrovati ogni anno sulle nostre spiagge è costituito da materiali plastici, di cui il 18% è rappresentato da bottiglie e tappi di plastica.

È quello che si legge in un dossier allarmante pubblicato a cura dell’Ufficio Scientifico di Legambiente in collaborazione con Altreconomica che sottolinea come l’abitudine di consumare acqua in bottiglia sia un fenomeno che vede l’Italia fra i paesi protagonisti.

Secondo un rapporto del 2017 di Seas at Risk (un’associazione no profit che si occupa di promuovere campagne ed iniziative per la tutela degli habitat marini a livello sia europeo che internazionale) in Europa ogni anno vengono consumate circa 46 miliardi di bottiglie di plastica.

Per quanto riguarda l’imbottigliamento e il consumo di acqua in bottiglia l’Italia gioca un ruolo cruciale non solo in Europa, ma a livello globale: con 14 miliardi di litri d’acqua imbottigliata all’anno e un consumo pro-capite di circa 206 litri annui l’Italia si classifica il primo paese in Europa e il secondo al mondo (dopo il Messico) per maggior consumo di acqua in bottiglia!

Secondo i dati raccolti dalle diverse Regioni il 90-95% dell’acqua confezionata in Italia viene imbottigliata in bottiglie di plastica e questo porta, di conseguenza, ad un impiego annuo di bottiglie di plastica che va dai 7,2 agli 8,4 miliardi di bottiglie. Solo il 5-10% dell’acqua viene imbottigliato in bottiglie di vetro.

L’impatto della produzione dell’acqua in bottiglia è enorme sia dal punto di vista ambientale che economico:

  • Il 90% della plastica di cui sono fatte le bottiglie viene prodotta utilizzando materie prime fossili vergini, il che significa che viene prodotta ex novo e non utilizzando plastica derivata da operazioni di riciclo.
  • Ogni anno l’Italia esporta circa 1,3 miliardi di litri di acqua in bottiglia e l’80% del trasporto avviene tramite mezzi di trasporto che viaggiano su gomma (un camion immette nell’ambiente fino a 1300 kg di CO2 ogni 1000 km percorsi).
  • A questo si aggiunge la cattiva gestione dei rifiuti sia nazionale che domestica.

Dal punto di vista economico il business dell’acqua in bottiglia rappresenta un giro di affari enorme che sicuramente non va a vantaggio dei consumatori, basti pensare che tendenzialmente una bottiglia d’acqua a al supermercato ha un prezzo almeno 250 volte superiore a quello che è effettivamente il costo di un litro d’acqua (un canone di circa 2 centesimi al litro).

La dispersione degli imballaggi nell’ambiente, inoltre, si va ad aggiungere a questo danno in quanto la plastica PET, di cui sono fatte le bottiglie di plastica, è riciclabile al 100% e potrebbe essere riutilizzata in parte per produrre nuove bottiglie e in parte per la produzione di svariati oggetti: dai vasi da fiori e i sacchi dell’immondizia fino agli indumenti di pile.

Ma quali sono le cause di questo enorme consumo di acqua confezionata?

9 italiani su 10 dichiarano di acquistare acqua in bottiglia e nonostante l’Italia sia ricca di acqua, perlopiù buona, una delle principali cause che porta a preferire l’acqua confezionata è la scarsa fiducia nella qualità dell’acqua del rubinetto. L’età degli acquedotti, l’inadeguatezza della rete idrica, i malfunzionamenti e la saltuaria presenza di batteri o sostanze chimiche sono le cause principali di questa generale sfiducia.

Nonostante si tratti generalmente di episodi isolati, legati a specifiche zone e che l’acqua che arriva nelle nostre case sia già qualitativamente buona, l’1 Febbraio 2019 la comunità europea ha presentato una proposta di revisione della direttiva che riguarda le acque potabili che si concentra sull’accurata analisi di 18 parametri chimico-biologici (fra cui spiccano l’eventuale presenza di microplastiche, virus e batteri e sostanze di derivazione industriale) per garantire uno standard qualitativo dell’acqua ancora superiore, oltre che una valutazione dei minerali presenti in essa, maggiore trasparenza sui costi dell’acqua del rubinetto e una maggiore accessibilità per i paesi che ancora faticano ad accedere all’acqua potabile.

Per ridurre il consumo di acqua in bottiglia, e la conseguente dispersione della plastica nell’ambiente, in Italia stanno nascendo diverse proposte e iniziative:

  • Non tutti sanno che, nell’ottica di ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi, dal 3 luglio del 2017 per 12 mesi il Ministero dell’Ambiente ha attuato, su base volontaria, il sistema di vuoto a rendere già da tempo regolamentato in Germania, Danimarca, Norvegia e in altri paesi europei. Significa che esistono esercizi commerciali dove è possibile riportare i vuoti di plastica e vetro, con un volume compreso fra 0,2 e 1,5 litri, e ritirare la cauzione che era stata versata nel prezzo intrinseco della bottiglia.
  • Incentivare il consumo dell’acqua confezionata in vetro rispetto a quella in plastica e richiedere ai ristoranti di servire acqua del rubinetto microfiltrata in caraffa, come già avviene in molti paesi.
  • Installare in tutte le città casette dell’acqua da cui i cittadini possono approvvigionarsi o gratuitamente oppure a fronte di un costo irrisorio.
  • Fare in modo che i supermercati vendano solo acqua imbottigliata localmente, per ridurre le emissioni legate al trasporto.
  • Alcune università hanno distribuito fra gli studenti borracce di metallo riutilizzabili che possono essere riempite in distributori di acqua microfiltrata, boccioni o fontanelle messi a disposizione nei diversi atenei. Se questo approccio fosse attuato anche da aziende, uffici, mense scolastiche, centri commerciali e privati si ridurrebbe l’acquisto di acqua imbottigliata.

Euro Company in quest’ottica ha aderito all’iniziativa distribuendo fra i suoi dipendenti borracce riutilizzabili che possono essere riempite gratuitamente nei distributori di acqua microfiltrata disponibili in azienda.

Ci stiamo inoltre impegnando per ridurre in generale i quantitativi di plastica nei nostri prodotti: negli ultimi 2 anni abbiamo ridotto di 24 tonnellate i rifiuti da imballaggio e del 10% il peso dei nostri pack. Dove non è possibile, ci stiamo proiettando verso l’impiego di materiali plastici riciclabili per i nostri packaging su cui saranno sempre disponibili le indicazioni per il corretto smaltimento nei rifiuti.

Il nostro ambizioso obiettivo è quello di passare a packaging riciclabili o compostabili al 100% entro il 2020, perché crediamo che l’immissione di plastica nel pianeta rappresenti un problema che non può più essere rimandato.

Noi non abbiamo ereditato il mondo dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli e a loro dobbiamo restituirlo migliore di come lo abbiamo trovato” (Robert Baden-Powell – generale, educatore e scrittore).

Fonti e approfondimenti: